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Segnalo a tutti che ho aperto un nuovo blog su un mondo che da sempre mi affascina: e cioè quello dei viaggi, delle grandi esplorazioni.
Lo trovate qui: http://iprimipassi.wordpress.com/
28 mercoledì Dic 2011
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28 mercoledì Dic 2011
Posted Uscite del 2011
inLe idi di marzo (USA – 2011) di George Clooney Interpreti: Ryan Gosling, Marisa Tomei, George Clooney, Philip Seymour Hoffman, Evan Rachel Wood, Paul Giamatti
Quarto film da regista per George Clooney, Le idi di marzo è un’ulteriore riconferma dell’intelligenza e dell’abilità, anche dietro la macchina da presa, dell’attore premio oscar nel 2006 per Syriana. Anche in questo caso, come nel gioiellino che diresse qualche anno fa, Good night, and good luck, Clooney affonta un tema che gli sta molto a cuore: la politica e le sue dinamiche, spesso contorte, spregiudicate. E dire che ce l’aveva quasi fatta bere col suo personaggio di democratico integerrimo, legato alla famiglia a e ai valori tradizionali ma anche convinto progressita anti-aborto e contro la guerra. E sì, perché sino a un terzo del film Clooney tratteggia un Mike Morris talmente perfetto che lo spettatore quasi storce il naso di fronte a tanta positività: non può essere vero, Clooney non può essere così ingenuo da utilizzare una pellicola cinematografica come palcoscenico per sviscerare i valori in cui crede fermamente (lui, che è davvero un democratico liberale convinto). E invece proprio in quel momento, proprio dopo la più rassicurante delle sequenze familiari (quella in cui Morris e la moglie sono in macchina), cominciano a scoprirsi gli scheletri nell’armadio di un personaggio non più così pulito e convincente. Le idi di marzo è un film che descrive quanto cinica, “sporca” sia la politica, ma lo fa attraverso non tanto la figura di Morris, quanto quelle degli uomini che gli girano intorno, e che gestiscono la sua campagna elettorale: i loro accordi sottobanco, i tradimenti, l’arrivismo, sono le fondamenta su cui si basa il “sogno americano” che potrà portare un democratico alla Casa Bianca. Ryan Gosling, il protagonista, accentua un po’ troppo i toni melodrammatici, ma nel complesso la sua prova è buona (considerata la poca esperienza), supportata da un cast di comprimari perfetto: lo stesso Clooney, Marisa Tomei, i sempre grandi Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti. Al di là di quale battuta a vuoto nella sceneggiatura (si calca un po’ troppo la mano sulla morte del personaggio della Rachel Wood, e forse il finale può apparire un pò prevedibile), il film è davvero ben scritto, con una fotografia e una colonna sonora all’altezza: Le idi di marzo è un pellicola corale con cui è possibile chiudere positivamente un 2011 che non è stato ricchissimo di grandi pellicole, e che forse, proprio per questo, potrà far sperare a Clooney di concorrere alla prossima cerimonia degli oscar come miglior regista.
23 venerdì Dic 2011
Posted Black and White
inLa figura di Jekyll / Hyde non va forse annoverata fra quelle dei “mostri” classici, ma di sicuro riveste, nel contesto della nascita e dell’evoluzione del cinema dell’orrore, un’importanaza fondamentale. Uno dei quattro film che nel 1931 decretarono la nascita del “cinema dei mostri” fu, infatti, Il Dottor Jekyll di Rouben Mamoulian.
Ciò che ancora oggi sorprende di questo capolavoro (perché di questo si tratta, anche se in molti,colpevolmente, se ne dimenticano) è la sua portata innovativa, il suo essere squisitamente “sperimentale” in un’epoca e in un contesto in cui il cinema, dopo l’avvento del sonoro, sembrava non avere più nulla da dire. E invece a Mamoulian bastano pochi minuti, quelli del prologo del film, per anticipare di diversi anni le innovazioni tecniche di Orson Welles e del suo Quarto Potere, girando una lunghissima sequenza in soggettiva, che mostra il protagonista che si prepara per un un discorso all’università. Un pianosequenza ante litteram, che viene ripetuto a metà film, in occasione della prima trasformazione di Jekyll in Hyde: entrambi, ancora oggi, risultanto di una bellezza ed una freschezza incredibili. La pellicola, che forse nella rappresentazione dell’alter-ego “cattivo” di Jekyll può apparire velato di sotto-significati razzisti (i movimenti di Hyde, che ha i tratti di un afro-americano, sono molto simili a quelli di una scimmia), rielabora intelligentemente il capolavoro di Stevenson, inserendo nella sceneggiatura due figure femminili assenti nel romanzo (la fidanzata di Jekyll e l’amante schiava di Hyde) e cambiandone notevolmente la trama; restano però i grandi temi dell’inconscio, della psiche umana, della natura selvaggia e priva di inbizioni che si cela in ogni essere umano (ecco quindi il significato delle riprese in soggettiva, che hanno lo scopo di identificare il “mostro” con lo spettatore stesso).
Tremendamente erotico per l’epoca (Hyde che violenta Ivy, il particolare della gamba della stessa prostituta che si muove provocante per sedurre Jekyll), il film di Mamoulian contribuì in maniera decisiva, insieme a Dracula, Frankenstein e Freaks all’inizio di una esaltante stagione del cinema del terrore.
11 domenica Dic 2011
Posted Uscite del 2011
inCave of forgotten dreams (Francia, Canada, USA, Regno Unito, Germania – 2010) di Werner Herzog
Il cinema di Werner Herzog è sempre stato contraddistinto dal tema della ricerca, fosse quella della collocazione dell’uomo in un universo ostile (L’enigma di Kapsar Hauser, Anche i nani hanno cominciato da piccoli), o della realizzazione di sogni impossibili (Fitzcarraldo, Aguirre), o ancora quella, più atavica e ancestrale, del ritorno ad una simbiosi totale con la natura (Grizzly Man). In questo senso, Cave of forgotten dreams può essere considerato come un punto d’arrivo nella cinematografia del maestro bavarese: perché forse Herzog trova finalmente le risposte a quelle domande che qualsiasi artista si pone dall’alba dei tempi: da dove nasce l’esigenza dell’uomo di riprodurre ciò che vede, di ricreare la realtà? E in che modo tutto ciò si colloca nell’ambito della rappresentazione cinematografica? A Herzog e alla sua troupe è stato concesso il raro privilegio di entrare con le proprie cineprese all’interno di Grotta Chauvet, allo scopo di riprendere quei disegni straordinari che sono forse il primo esempio di proto-cinema della storia dell’umanità: immagini di animali e creature rimaste intrappolate per trentamila anni, rappresentati nell’atto di correre, muoversi, combattere. Attraverso la classica impostazione narrativa del documentario, di cui è uno dei massimi maestri, Herzog ci ipnotizza (coadiuvato in questo dallo splendido accompagnamento sonoro di Ernst Reijseger) indugiando a lungo con la sua telecamera su magnifiche composizioni, e invitandoci a riflettere sul senso e sul potere del mezzo cinematografico: quei cavalli che nitriscono, quei rinoceronti in lotta, quei leoni e quelle leonesse pronti a scattare, non sono altro che la realtà così come veniva percepita dagli occhi di un’artista misterioso; quella di “fermare”, di immortalare un attimo o un movimento, è un’esigenza che l’essere umano ha sentito sin da quando ha fatto la sua comparsa sulla Terra: oggi, Herzog e tutti i registi moderni, possono considerarsi i prosecutori di un’opera iniziata trentamila anni fa sui muri di Grotta Chauvet.
06 martedì Dic 2011
Posted Black and White
inDei film che nel 1931 decretarono la nascita del “cinema dei mostri”, Frankenstein rimane il più celebre e, forse, il migliore. Ispirandosi al bellissimo romanzo di Mary Shelley, il sempre troppo sottovalutato regista inglese James Whale realizzò un film straordinario, affrontando senza timori reverenziali temi che, in parte, sono tabù ancora oggi: i limiti e i confini della scienza (quelli travalicati dal Dottor Frankenstein, un ottimo Colin Clive, che pur di realizzare il suo esperimento arriva a perpetrare orrori d’ogni tipo), il rapporto dell’uomo con Dio (con cui lo stesso Frankenstein si identifica quando, dopo aver visto la sua Creatura muoversi per la prima volta, urla in preda al delirio: “Vive! E’ vivo” ), la bestialità insita negli esseri umani, di cui sono metafora i comportamenti del Mostro, sotto il cui trucco, opera di Jack Pierce, si cela il volto di Boris Karloff. Al di là di qualche battuta d’arresto nella parte centrale del film, che diventa un po’ ripetitivo dal momento in cui il Mostro comincia a mietere le sue vittime, Frankenstein va considerato un capolavoro, uno splendido film dell’orrore ricco di non pochi momenti da ricordare (su tutti, quelli dell’assassinio della bambina e della sequenza finale del mulino in fiamme), merito soprattutto del talento visivo e della regia di Whale.
La Universal, sulla scia dal successo di questo film e di Dracula, diede vita ad una lunga serie di pellicole horror, tutte a loro modo entrate nella leggenda. In particolare, nel 1935 vide la luce il sequel del film di Whale, La moglie di Frankenstein, da molti considerato addirittura superiore all’originale. Difficile dire se questa affermazione sia azzaradata o meno, ciò che è certo è che questo è un film più maturo e completo del precedente, ricco di tante geniali trovate, come l’incipit meta-cinematografico (o meta-letterario?) in cui Mary Shelley e Lord Bayron discutono di letteratura e di poesia, o la creazione del diabolico personaggio del Dottor Pretorius, con i suoi minuscoli esseri viventi creati in laboratorio. Ancor più che nel film del’ 31, questa pellicola è costruita intorno alla performance di Boris Karloff e alla sua Creatura, che da manifestazione della forza bruta si trasforma in vittima della crudeltà dell’uomo: Whale in qualche modo ribalta la visione e il punto di vista dello spettatore (rispetto al film precedente) regalandoci un ritratto del Mostro quasi commovente (le scene in compagnia del contadino non vedente sono di una dolcezza indescrivibile), la cui furia si manifesta solo nel finale, nel momento in cui si vede respinto anche dalla donna che gli è stata promessa.
Whale in seguito dirigerà un altro film dell’orrore per la Universal, L’uomo invisibile, ma la saga di Frankenstein andrà avanti anche senza di lui: i risultati saranno nettamente inferiori, anche se vale la pena citare il delizioso Il figlio di Frankenstein (1939) terzo capitolo della serie, con Basil Rathbone nel ruolo del figio di Henry Frankestein, Boris Karloff ancora in quello del Mostro, e nientemeno che Bela Lugosi in quello di un redivivio Igor: il film è divertente e ben scritto, con qualche buona trovata (il personaggio del commissario col braccio di legno, i collegamenti con i due film precedenti) e se il personaggio di Karloff perde un po’ di spessore, c’è Lugosi a farla da padrone. Nel ’42 e nel ’43 arriveranno altri due seguiti, abbastanza deludenti, in cui il Mostro sarà impersonato prima da Lon Chaney Jr. (Il terrore di Frankestein, in cui al mostro viene addirittura impiantato il cervello di Igor) e poi finalmente da Bela Lugosi (Frankenstein contro l’uomo lupo, con Lon Chaney Jr. che torna a interpretare Larry Talbot), nella chiusura di un cerchio tipicamente “mostruoso”: pare infatti che dovesse essere Lugosi nel ’31, sulla scia del successo di Dracula, a interpretare il ruolo della Creatura nel primo film di Whale, ma che si fosse rifiutato a causa del trucco eccessivo che avrebbe dovuto portare sul set. Ciò spalancò le porte del successo a Karloff, vero e proprio “padre”, insieme a James Whale, della versione cinematografica del Mostro di Frankenstein.
02 venerdì Dic 2011
Posted Uscite del 2011
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Carnage (Francia, Germania, Polonia, Spagna – 2011) di Roman Polanski Interpreti: Jodie Foster, Kate Winslet, John C.Reilly, Christoph Waltz
Non che fossi rimasto completamente deluso dagli ultimi lavori di Roman Polanski, ma sia Oliver Twist che L’uomo nell’ombra mi avevano dato l’idea di film piuttosto “ordinari”, privi del guizzo tipico della grande pellicola. Carnage invece, pur non restituendoci il Polanski spettacolare e gigantesco de Il pianista, ci riconcilia col talentro di questo grandissimo cineasta, sulla cui produzione artistica hanno pesato (e non poco) immani tragedie (l’olocausto, la fuga dal ghetto di Cracovia, l’assassinio della moglie Sharon Tate, allora incinta) ma anche grossi scandali (il presunto stupro di una minorenne). Pochi si sarebbero comunque aspettati da Polanski, a questo punto della carriera, un film così sfacciatamente teatrale (e ispirato proprio ad una piecè, Il dio del massacro di Yasmine Reza): Carnage è infatti tutto girato all’interno di un’abitazione, microcosmo che si fa metafora di una società che cerca di nascondere le proprie contraddizioni. Come fanno del resto i quattro protagonisti (due coppie di genitori che cercano di appianare una lite scaturita fra i loro figli) cui basta poco per gettare via le maschere che si sono costruiti, e per mostrare, in un crescendo di tensione e rabbia che dura per tutto il film, il loro vero volto; il perbenismo di facciata e l’omologazione sociale vengono presto sostituiti dai sentimenti e dalla passioni umane più selvaggie e nascoste: l’egoismo, l’istinto di conservazione (si veda come, specialmente i personaggi della Winslet e della Foster, prendano incondizionatamente le difese dei rispettivi figli), le frustazioni e le insoddisfazioni di una vita. Il film mantiene un ritmo abbastanza alto, e in alcuni frangenti è anche molto divertente; finisce col perdere un po’ di slancio solo nella parte finale (fosse durato dieci minuti in meno, nessuno avrebbe avuto da ridire). Tagliente la regia di Polanski, splendidi i quattro interpreti, e il modo in cui rescono a rendere sullo schermo la metamorfosi dei loro personaggi. Carnage è insomma un film “essenziale”, con cui Polanski ci dà dimsotrazione di come, anche con pochi mezzi, ma con tante idee e un grande talento, sia possibile fare del puro cinema.