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MBDCIKA EC019

Ero seriamente tentato dal non scrivere nulla riguardo a Quarto Potere: del resto, c’è qualcosa che non sia stato ancora detto su questa pietra miliare della settima arte, sulla pellicola che ha sancito, di fatto, la nascita del cinema moderno? Sono giunto allora a un compromesso: non scriverò un post, ma una dichiarazione d’amore. Una dichiarazione d’amore per un film che, lo confesso, mi ha segnato in maniera indelebile; che ha cambiato il mio modo di approcciare, in generale, la settima arte, e che ha fatto nascere in me una venerazione assoluta nei confronti del suo creatore, Orson Welles.

Welles aveva 25 anni quando la RKO gli permise di scrivere, dirigere ed interpretare un film in assoluta libertà: e Welles, che all’epoca (1941) era sì un enfant prodige (aveva appena sconvolto mezza America col suo programma radiofonico La guerra dei mondi), ma che era completamente a digiuno di cinema, approcciò questa sfida con l’inesperienza del principiante ma anche con la visione del Genio.

E’ per questo che amo Quarto potere, perché è un film nato dall’ingenuità, un film realizzato da chi di cinema all’epoca non ne sapeva niente: chi, se non uno che non era mai stato dietro la macchina da presa, sarebbe stato altrimenti capace di scardinare in maniera così prepotente tutte le “regole” non scritte della settima arte? Chi sarebbe stato capace di ideare riprese sino ad allora mai viste, come quelle realizzate piazzando la macchina da presa in un buco fatto nel pavimento, in modo da inquadrare, con grandangoli e prospettive sbilenche, gli attori dal basso, trasformandoli in giganti che sovrastano gli spettatori? Chi si sarebbe potuto concedere così tanti piani-sequenza (inventando tra l’altro la tecnica del “dolly”), rinunciando volutamente ai più standard e inflazionati piani “americani” o primi piani? E chi si sarebbe mai affidato con cieca fiducia a un direttore della fotografia (Gregg Toland), che per la prima volta utilizzava una serie di filtri capaci di alterare ed esaltare a dismisura la profondità di campo? E, passando ai contenuti, chi avrebbe mai potuto pensare di realizzare un film che cominciasse dalla fine, e cioè della morte del protagonista, destrutturando completamente il meccanismo classico della narrazione filmica, attraverso una ricostruzione della vicenda che si basa sui flashback e i ricordi dei personaggi?

La risposa è semplice: un Genio, ma anche un ingenuo e uno sprovveduto.

E non ho (volutamente) detto tante altre cose: che in tutto il film non c’è un’ inquadratura sbagliata, che il finto cinegiornale del prologo è una delle cose più belle che io abbia mai visto, che questo film è una denuncia del potere della stampa e di come essa può manipolare l’opinione pubblica, ma che è anche il racconto della vita di un uomo troppo grande che aveva tutto e che tutto fu capace di perdere, compreso l’amore.

Truffaut disse “appartengo a quella generazione di cineasti che ha cominciato a fare cinema dopo aver visto Quarto Potere”: perché è un film senza tempo, riferimento e stella polare per tutti coloro che fanno, hanno fatto e faranno cinema, e per tutti coloro che il cinema, semplicemente, lo amano.