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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi Mensili: marzo 2014

Il serpente e l’arcobaleno

21 venerdì Mar 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Cult

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Tag

bill pullmann, cinema horror, wes craven

Il serpente e l’arcobaleno (Usa, 1988) di Wes Craven

Interpreti: Bill Pullman, Cathy Tyson, Zakes Mokae, Paul Winfield, Brent Jennings, Conrad Roberts

SERPENT-AND-THE-RAINBOW-THE-Silver-Ferox-Design-WEB-1024x768Wes Craven è sempre stato interessato a tutto ciò che ruota intorno ai temi del sogno e della finzione; e non è un caso che si sia divertito a destrutturare, in numerosi dei suoi film (Scream su tutti, ma anche Nightmare –  Nuovo Incubo) il mezzo di finzione per eccellenza, e cioè il mezzo cinematografico.  Ma è nel campo della pura rappresentazione visiva del sogno (o meglio, dell’incubo), che secondo me Craven mostra davvero tutto il suo talento. Il serpente e l’arcobaleno è un film bellissimo da questo punto di vista: un horror visionario, delirante, in cui gli incubi vissuti in prima persona dal protagonista prendono vita in maniera talmente realistica da sembrare quasi “normali” all’interno della storia; e il merito è proprio di Craven, che non esagera mai con effetti roboanti, ma mescola sempre con intelligenza ed equilibrio la realtà e la finzione; come avveniva del resto anche nel suo capolavoro, Nightmare.

Arricchito da un bellissimo prologo, ambientato nella giungla africana, e da un caotico e spettacolare finale, che si svolge nelle prigioni sotterranee di Haiti, Il serpente e l’arcobaleno si rivela inoltre essere un esempio “di scuola” di come l’horror sia un genere capace di dire qualcosa di forte anche sulla società e sulla politica: la pellicola è infatti ambientata durante gli ultimi giorni della dittatura di Francois Duvalier (tant’è che l’ottimo “villain” del film, interpretato da Zakes Mokae, è il capo della polizia segreta di Haiti), e gli orrori cinematografici di Craven si alternano alle torture e alle crudeltà  “reali” che contraddistinguono la Storia. Un film delirante, bellissimo, e “politico” nel vero senso del termine, e quindi per questo da vedere assolutamente.

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Boomstick Award 2014

17 lunedì Mar 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Vari ed eventuali

≈ 3 commenti

boomstickaward2014Qualche folle ha deciso di fregiarmi del premio Boomstick Award 2014 (e ricevere un premio che raffigura Bruce Campbell, bè, è cosa di cui vantarsi per secoli a venire), per cui mi appresto a fare lo stesso.

Ecco le regole (imposte da Hell, che ha dato vita al premio) che chi, come me, è così sfortunato da ricevere il premio, deve rispettare:

1 – i premiati sono 7. Non uno di più, non uno di meno. Non sono previste menzioni d’onore

2 – i post con cui viene presentato il premio non devono contenere giustificazioni di sorta da parte del premiante riservate agli esclusi a mo’ di consolazione

3 – i premi vanno motivati. Non occorre una tesi di laurea. È sufficiente addurre un pretesto

4 – è vietato riscrivere le regole. Dovete limitarvi a copiarle, così come io le ho concepite

Ok, passo ai premiati:

Il giorno degli zombi, di Lucia Patrizi

Il motivo è semplice: se c’è un’autorità in fatto di cinema horror nel Bel Paese, questa autorità risponde al nome di Lucia Patrizi. La quantità di film che ho scoperto spulciando il suo blog è davvero impressionante (Triangle, The Children, The girl’s next door, solo per citare quelli che mi hanno più colpito), per cui non potevo non pensare a lei per prima, non me ne vogliano gli altri.

Lo spettatore indisciplinato, di Viga

Perchè Viga non è un blogger, è una leggenda. Certo non è esente da difetti (mangia bambini a colazione, odia Spielberg, adora Von Trier), ma lo lovvo lo stesso.

Il Bollalmanacco del cinema, di Erica Bolla

Perchè è una blogger della prima ora, perchè ti fa divertire quando scrive di cinema ma anche quando scrive amenità varie sul suo profilo fb.

Araknex Movies, di Chiara Pani

Altra autorità in fatto di horror e thriller, ma non solo. Negli ultimi tempi scrive molto di meno, perchè lavora anche su Fasciantion Cinema, rivista on-line davvero illuminante su novità e curiosità da mondo del cinema di genere.

Cinema e missili, di Missile

Perchè se le vostre conoscenze sul cinema asiatico sono disseminate di ombre inquietanti, esiste solo una persona che potrà illuminarvi: Missile

Backpacker, di Stefano

Perchè personalmente adoro viaggiare, e il sito/blog di Stefano è non solo un modo per poterlo fare restando comodamente seduti davanti al pc, ma anche uno spunto interessante per pianificare un giro in qualche zona sperduta del mondo.

La finestra sul cortile, di RearWindow

Perchè è un blog dove si parla senza eccessi e populismi di politica, attualità, e qualche volta anche di cinema e musica, con uno stile sempre garbato ed equibilibrato.

Ok, è andata. I sette premiati, se vorranno, potranno  assegnare a loro volta il Boomstick ad altri blog. Però, come ricorda Lucia Patrizi sul suo blog, state attenti: se non seguite le regole di cui sopra, vi vedrete recapitare tramite corriere la seguente immagine. Non un bel vedere, e dicono porti pure sfiga.

bitchplease2014

La casa dalle finestre che ridono

07 venerdì Mar 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Cult

≈ 8 commenti

Tag

cinema horror, cinema italiano, lucio fulci, pupi avati

La casa dalle finestre che ridono (Italia, 1976) di Pupi Avati         Interpreti: Lino Capolicchio, Francesca Marciano, Gianni Cavina, Vanna Busoni, Andrea Matteuzzi, Bob Tonelli

casa21Ciò che rende straordinaria, e a suo modo unica, la prima (e migliore) digressione di Pupi Avati nei generi del thriller e dell’horror, è la dimensione onirica e delirante che il regista bolognese ha saputo donare al suo film (ed a oggi suo indiscusso capolavoro).

La casa dalle finestre che ridono ha infatti una trama abbastanza classica (un esperto d’arte viene mandato in un paesino della pianura padana per  restaurare un misterioso quadro, al quale sembrano legate sparizioni, riti demoniaci, sacrifici umani e orribili omicidi), ma è la messa in sena a renderlo un film magnifico: Avati ricrea un’atmosfera tipica dei film di fantasmi (si pensi all’incipit, o a scene come l’apparizione dalla nebbia della figura di Flavia Giorgi), che dona al film una dimensione disturbante e allucinata, e allo spettatore la sensazione di stare vivendo un incubo, piuttosto che vedendo un film. Lo dimostrano le due scene finali, in cui il protagonista svela il mistero che si cela dietro la storia del “pittore di agonie” e delle sue due misteriose sorelle, in cui Avati sceglie di mostrare il tutto in soggettiva, attraverso gli occhi del protagonista, accentuando quindi il coinvolgimento emotivo dello spettatore.

Tecnicamente ineccepibile, con un cast fatto di comprimari eccezionali (Gianni Cavina, che interpreta il tassista ubriaco, o Bob Tonelli, che ha invece il ruolo del sindaco nano),  La casa dalle finestre che ridono ha il merito di essere un film che mette davvero paura ogni volta che lo si rivede: alzi la mano chi non ha quasi urlato di terrore mentre guardava il finale del film,  o chi non si è sorpreso a saltare sulla sedia in una delle tante scene ambientate nella casa abbandonata. Interessante anche la scelta di ambientare il tutto in un contesto atipico per l’horror, la pianura padana (una cosa simile l’aveva fatta Fulci con il suo Non si sevizia un paperino, ambientato in un paesino del sud italia) che però ben si presta all’atmosfera morbosa e terrificante che pervade tutto il bellissimo La casa dalle finestre che ridono.

 

Bob il giocatore, Lo Spione e Notte sulla città: il noir secondo Jean Pierre Melville

02 domenica Mar 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Black and White, Il cinema dei registi

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alain delon, cinema francese, jean paul belmondo, jean-pierre melville, nouvelle vague

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Come scrissi qualche post fa, Melville è un regista che ha vissuto di vita propria all’interno del cinema francese, in quanto poco ascrivibile a qualsiasi“corrente” o scuola di pensiero (celebri gli attriti che ebbe con quasi tutti gli esponenti della Nouvelle Vague, di cui pure era stato in qualche modo un padre spirituale). Questo anche perché Melville ha dato vita, nelle sue pellicole, ad universo a sé stante: un universo fatto di contesti e ambientazioni reali, ma messi in scena con uno stile onirico, irreale, come se fossero “luoghi” di un altro mondo; un universo in cui si muovono gangster e poliziotti tratteggiati in maniera così marcata da sembrare personaggi dei fumetti; un universo che Melville ha creato film dopo film, e che affonda le sue radici nel noir americano.

Già in Bob il giocatore (1955), suo primo successo, un noir violento ma girato con una certa leggerezza e quasi con ironia, si intravedevano lo stile di Melville e, soprattutto, i suoi personaggi duri, integri fino al midollo (e quindi facenti parte di una “mitologia”, di un mondo lontano da quello reale). Bob, protagonista del film, è un giocatore d’azzardo che non bara, che difende e prova ad “educare”  i suoi protetti; insomma, un “cattivo” che ha però un codice morale, un’etica da seguire. L’inevitabile, tragico finale (anche se Bob chiuderà il film con una battuta) è un’altra delle caratteristiche tipiche dei film di del regista francese, presente anche ne Lo Spione (1963) forse in assoluto il suo capolavoro insieme a Frank Costello faccia d’angelo. Film tecnicamente inarrivabile (il piano sequenza d’apertura, i movimenti di macchina nelle scene d’azione, la fotografia immensa), sorretto da una sceneggiatura costruita con un diabolico meccanismo di scatole cinesi (dove nulla è quello che sembra, e in cui i flashback si susseguono uno dietro l’altro destabilizzando di continuo lo spettatore) è un’opera in cui tutto ruota intorno allo splendido protagonista, interpretato da Jan Paul Belmondo, una sorta di samurai moderno che, pur di non tradire un amico, arriverà a sacrificare la propria vita.

Per il suo ultimo film Notte sulla città (1972), Melville sceglierà, al contrario di molte delle sue opere precedenti, un poliziotto e non un gangster come protagonista. Con quest’opera il cineasta francese raggiunge la sublimazione del suo stile: la pellicola è infatti quasi del tutto privo di dialoghi, con ambienti e colori di una freddezza difficilmente descrivibile a parole, e che contribuiscono ad allontanare sempre più il mondo di Melville da quello reale; un mondo in cui uno spaesato Alain Delon, poliziotto alla ricerca di tre rapinatori di banca, si muove senza alcun riferimento; un mondo in cui sia i buoni che i cattivi sono destinati, inevitabilmente, ad uscire sconfitti: i primi perchè, nonostante i loro sforzi, non riescono a migliorare il mondo in cui vivono (il protagonista del film si vedrà costretto ad uccidere un suo amico e a perdere la propria donna, dopo aver scoperto che entrambi erano tra i membri della banda su cui stava indagando), i secondi invece perchè sono destinati inevitabilmente a vedere svanire i propri sogni di gloria e di ricchezza.

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