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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi Mensili: settembre 2014

Soldi Sporchi

23 martedì Set 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Capolavori

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Tag

bill paxton, Billy Bob Thornton, bridget fonda, sam raimi

Soldi Sporchi (USA , Regno Unito, Germania, Francia, Giappone – 1998) di Sam Raimi                                                                                                          Interpreti: Bill Paxton, Billy Bob Thornton, Bridget Fonda, Brent Briscoe, Jack Walsh

images

Nonostante la filmografia di Sam Raimi sia sempre stata contraddistinta da incursioni nel fantastico e nell’horror, il suo capolavoro assoluto resta un film drammatico e profondamente “terreno”.

Il modo migliore per definire Soldi sporchi è glaciale. Non tanto per il contesto in cui si svolge la vicenda (il film è ambienatato in pieno inverno, in una cittadina del Nord America perennemente coperta da uno spesso strato di neve), ma per una messa in scena fredda, lineare, e per una sceneggiatura che, al contrario di altri film di Raimi, non lascia spazio nà all’ironia né alla fantasia.

Soldi Sporchi è un film sugli uomini, e sul potere che il denaro esercita su di essi: quella del protagonista  Hank è, tutto sommato, una vita felice (un lavoro fisso, una moglie innamorata e in attesa di un bebè, una bella casa), almeno fin quando egli scopre, insieme al fratello mezzo ritardato e ad un amico ubriacone, un tesoro di diversi milioni di dollari. A questo punto la prosopettiva di una vita “nomale” comincia a stare stretta sia ad Hank, che da padre di famiglia amorevole e rispettoso della legge e delle regole si trasforma in un ladro e un assassino, sia a sua moglie, vera “mente criminale” della vicenda. Il film mette in mostra il lato peggiore dell’essere umano: e lo fa mostrando splendidamente la metamorfosi che occorre nei protagonisti (Bill Paxtone Bridget Fonda non sono mai più stati così bravi);  menzione d’onore per Billy Bob Thornton, che dona al suo personaggio una malinconia e una tristezza sinceramente toccanti e quasi “fuori posto” in un film così crudele e così freddo, ma anche così straordinariamente coinvolgente.

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Visioni dal 71° Festival del Cinema di Venezia

15 lunedì Set 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2014

≈ 3 commenti

Tag

festival del cinema, jennifer aniston, owen wilson, peter bogdanovich, quentin tarantino

piccione

Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza non è certo un film “facile” (non è un caso che a Venezia, alla fine della proiezione, si siano sentiti tanti applausi ma anche qualche fischio): e questo perché la pellicola svedese che ha trionfato al Lido è caratterizzata da una lentezza davvero notevole. Lentezza che è però voluta, e che ha uno scopo: quello di  disegnare un mondo opprimente ed alienante, “grigio” come il colore della pelle dei personaggi che lo popolano, governato da convenzioni sociali ed omologazione (come dimostra la frase “sono contento che vada tutto bene”, pronunciata dai surreali protagonisti del film di Roy Andersson in qualsiasi tipo di situazione o contesto); un mondo triste, in cui anche l’ironia è intrisa di amarezza e di cinismo (si pensi ai personaggi dei venditori ambulanti, esilaranti nel loro proporre assurdi ed orribili gadget comici, ma che conducono un’esistenza misera e isolata). Il film è visivamente bellissimo (costruito senza alcun movimento di macchina, ma con una serie di immagini statiche in cui ogni dettaglio è perfetto, e in cui i tagli delle inquadrature danno all’opera un tono quasi espressionista), ma  ha la pecca di voler essere forse “troppo” ermetico: in fondo, un regista deve anche dare allo spettatore la “chiave” per capire quello che egli vuole dire, e questo purtroppo Roy Andersson non lo fa.

L’altro film che ho avuto il piacere di vedere a Venezia e’ stato  She’s funny that way, una piacevole commedia diretta da Peter Bogdanovich: il regista di Bersagli e L’ultimo spettacolo rievoca  la commedia sentimentale americana degli anni ’50 e ’60 (i continui riferimenti a Audrey Hepburn non sono un caso), e gira un film dal ritmo e dallo stile teatrali (peculiarità di tutti i film di Bogdanovich, cineasta molto “rigoroso” nella messa in scena delle sue opere). Gli interpreti sono tutti molto bravi; peccato la sceneggiatura sia un po’ confusionaria e, a tratti, abbastanza surreale: ma forse si tratta di una scelta voluta, visto che il film gioca molto sul tema della manipolazione della realtà nel mondo dello spettacolo (tutto il film è narrato in prima persona dalla protagonista, che racconta della sua ben poco credibile ascesa da  prostituta d’alto bordo a star del palcoscenico). Perché la vita reale, sembra volerci dire Bogdanovich, è molto più interessante se arricchita dalla finzione e dalla fantasia del cinema.

Articolo già apparso su I discutibili

bogdnovich

Cannibal Holocaust

03 mercoledì Set 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Cult

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Tag

cinema horror, cinema italiano, horror, mockumentary, POV, ruggero deodato

Cannibal Holocaust (Italia – 1980) di Ruggero Deodato                             Interpreti: Robert Kerman, Francesca Ciardi, Perry Pirkanen, Luca Barbareschi, Gabriel Yorke, Salvatore Basile

Cannibal_Holocaust_1

Credo che troppo spesso si sia commesso l’errore di considerare Cannibal Holocaust un film epocale “solo” per la sua violenza efferrata, sconvolgente, senza filtri; oppure “solo” perché è stato il primo film ad utilizzare l’espediente del mockumentary, anni prima che questa tecnica divenisse celebre grazie a film come The Blair Which Project.

Tutti motivi più che validi per fare del film di Deodato un vero e proprio cult; cult che però a mio parere si fa apprezzare, oltre che per l’intelligenza di alcune scelte (l’idea di far credere che le vicende descritte nel film fossero avvenute realmente fu, per l’epoca, geniale), soprattutto per il suo messaggio di denuncia (probabilmente non voluto, almeno a giudicare dalle successive dichiarazioni del regista): i protagonisti della pellicola sono chiaramente personaggi disgustosi, accecati da una fame di denaro e di successo che li porta ad abbandonarsi alle crudeltà più efferate. Chi lo accusa di sensazionalismo non ha capito che il film è, al contrario, una denuncia di un certo modo di concepire i media e lo spettacolo (denuncia forse fatta da Deodato inconsciamente, visto che egli era per sua stessa ammissione un fan di Jacopetti e dei vari Mondo cane), una critica ad una società, quella occidentale, che considera le culture tribali come inferiori; senza rendersi conto che, invece, è essa stessa ad essere ancora tremendamente “selvaggia” (come sembra indicare il prologo del film, in cui la voce fuori campo di un giornalista spiega quanto siano “arretrate” la foresta amazzonica ed i suoi abitanti mentre sullo schermo scorrono le immagini del centro di New York).

Dal punto di vista tecnico, Deodato dimostra di essere un  grande regista, riuscendo a girare con maestria in condizioni disagiatissimne; e l’idea di dividere la pellicola in due parti (la seconda, in cui viene mostrato il “documentario” girato dai quattro protagonisti, è stata girata in 18 mm e con la pellicola sporcata a mano da Deodato per aumentarne il realismo) è assolutamente riuscita. La crudeltà è pura (e, a tratti, reale: diversi animali furono davvero uccisi durante le riprese, e per un periodo si pensò che anche gli attori fossero stati assassinati), e l’armoniosa colonna sonora di Riz Ortolani la rende ancora più efferrata. Tutti elementi che fanno di Cannibal Holocaust uno splendido cult senza tempo.

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