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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi Mensili: febbraio 2016

Neill Blomkamp e il cinema di genere sci-fi

28 domenica Feb 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Il cinema dei registi, Uscite del 2015

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cinema, cinema fantascienza, cyberpunk, fantascienza, hugh jackman, jodie foster, matt damon, neil blomkamp, sci-fi

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Il sudafricano Neill Blomkamp è oggi uno dei pochi, veri registi di genere nel campo della fantascienza (forse l’unico, insieme all’ottimo Duncan Jones, cui ho dedicato un post qualche tempo fa). Il suo primo lungometraggio è datato 2009: si tratta di District 9, un action fantascientifico prodotto da Peter Jackson e strutturato come un documentario sulla figura di Wikis Van De Merwe, funzionario statale addetto allo sgombero di una baraccopoli  aliena sorta nel bel mezzo di Johannesburg dopo che un’astronave extraterrestre è rimasta bloccata sulla Terra a causa di un’avaria. La vicenda di Van De Merweche è il pretesto per Blomkamp per descrivere una delle piaghe della nostra società: la paura del diverso, la non accettazione di chi non è come noi. Guardando District 9, sembra di assistere ad un servizio giornalistico dei giorni nostri: storie di profughi cacciati dalle proprie case, di criminali che sfruttano in ogni modo l’immigrazione clandestina, di politici che sembrano non interessarsi dei diritti umani (o extraterresti, se preferite). Ecco quindi che la progressiva trasformazione di Wikis Van De Merwe in alieno è il contrappasso ideale per un’umanità xenofoba e razzista. Oltre all’ottima messa in scena (lo stile semi-documentarista con cui è strutturata la sceneggiatura si rivela vincente) Blomkamp mette subito in chiaro anche la sua idea di cinema: tanti riferimenti alla politica e ai temi sociali, certo, ma anche tanta azione, e un alto tasso di spettacolarità e splatter.

Un’idea di cinema che si conferma nella sua opera successiva, Elysium (2013), film che descrive un futuro in cui i ricchi e i membri delle classi più agiate vivono in una stazione orbitante nello spazio, nel benessere e nell’opulenza, lontano dalla povertà e dalla miseria di una Terra sovrappopolata, su cui sono relegati i più deboli. Per quanto il tema di Elysium sia sviscerato bene e la messa in scena dimostri ancora una volta che Blomkamp è un regista con gli attributi (le scene d’azione sono strutturate in maniera perfetta, con un frequente uso del rallenti che a tratti ricorda i “balletti di morte” tipici del cinema di Honk Kong), il film ha un ritmo eccessivamente forsennato, e il risultato dinale è che lo spettatore non riesce nè a seguire la vicenda in maniedra coerente nè a legarsi empaticamente ai personaggi e alle situazioni in cui sono coinvolti (anche perchè nessuna delle interpretazioni, neanche quelle di Jodie Foster e Matt Damon, strappano appluasi).

Il mix perfetto tra tematiche “impegnate”, spettacolarità della messa in scena e approfondimento dei personaggi, Blomkamp lo trova con il suo terzo lungometraggio, Humandroid: storia di un robot senziente di nome Chappie che si ritrova ad essere sfruttato da umani senza scrupoli (criminali che lo usano per compiere una rapina, membri dell’esercito che lo vogliono per motivi militari, e così via). La pellicola alterna sapientemente momenti action ad altri più intimi, in cui il regista riesce nell’impresa, non da poco, di  rendere “umano”, e soprattutto simpatico allo spettatore, un personaggio fatto di metallo e bulloni. Il tutto, come al solito, arricchito da forti critiche sociali, in particolare alla militarizzazione e, più in generale, a una società in cui gli esseri umani riescono solo ad infliggere violenza e morte. Come in District 9 ed Elysium, anche in Humandroid non vi sono personaggi del tutto “buoni” (a parte l’androide, che però umano non è) o del tutto “cattivi”: anzi questa pellicola sembra volerci dire che la bontà la si può ritrovare ovunque (anche nei membri di una gang di criminali) così come l’ambizione e la voglia di successo possono tradire anche le anime più pure (lo scienziato che dà la vita a Chappie). Tutti aspetti che fanno di Humandroid uno dei film migliori del 2015, e di Neill Blomkamp uno dei registi più interessanti di questi ultimi anni.

Dio esiste e vive a Bruxelles

27 sabato Feb 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uncategorized, Uscite del 2016

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belgio, bruxelles, catherine deneuve, cinema, jaco van dormael

Dio esiste e vive a Bruxelles (Belgio/Francia/Lussemburgo – 2015) di Jaco Van Dormael Interpreti: Benoit Poelvoorde, Pili Groyne, Yolande Moreau, Catherine Deneuve, Francois Damiens.

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Partendo da un’idea tanto folle quanto assurda, e cioè che Dio sia un apatico ed insopportabile uomo di mezza età che si diverte a far soffrire l’umanità (e che se ne sta rintanato in uno squallido appartamento nella periferia di Bruxelles), il regista belga Jaco Van Dormael ha realizzato un film piacevolissimo, che alterna sapientemente, e con grande leggerezza, ironia e temi impegnati.

Dio Esiste e vive a Bruxelles è fondamentalmente un film sul rimpianto, sulle occasioni perdute; un film che invita a cogliere le occasioni e a vivere appieno la propria vita. Cosa che la maggior parte dell’umanità sembra non saper (o voler) fare, forse perchè fatta ad immagine e somiglianza di un Dio stupido, crudele e violento (in una scena abbastanza sorprendente, poichè totalmente inaspettata per lo spettatore, il Padreterno arriva addirittura a prendere a cinghiate la figlia ribelle). Questa umanità “adulta” e senza speranza può quindi essere salvata solo da coloro che possiedono ancora l’innocenza e il coraggio di amare: i bambini. E’ la piccola figlia di Dio infatti che, in visita sulla Terra, salverà il mondo con il suo messaggio d’amore e di speranza (non prima di aver però fatto un dispetto non da poco all’odiato Padre: e cioè aver comunicato a tutti gli uomini e le donne sulla Terra la propria data di morte, facendo perdere a Dio il controllo delle marionette che egli si divertiva a torturare).

Certo, in termini di “messaggio” il film non dice nulla di particolarmente nuovo, e alcune trovate non sono molto convincenti neanche per una storia dai toni surreali come questa  (penso alla vicenda del personaggio Catherine Deneuve e alla sua infatuazione per un gorilla, o al finale un pò troppo consolatorio); eppure i momenti ricchi di ironia (legati quasi sempre alla figura di Dio e alle sue disavventure nel mondo terreno, e soprattutto al suo rapporto non proprio idilliaco con il figlio maggiore) e il garbo con cui la pellicola è stata interpretata e girata, fanno di Dio Esiste e vive a Bruxelles un piccolo gioiellino, una vera e propria lezione di umanità ad un mondo che sembra aver dimenticato cosa voglia dire essere felici.

Articolo già apparso su I discutibli.

The hateful eight

13 sabato Feb 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2016

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70mm, cinema, cinemascope, ennio morricone, jennifer jason leight, kurt russell, michael madsen, quentin tarantino, samuel l. jackson, tim roth, walton goggins

The Hateful Eight (USA – 2015) di Quentin Tarantino

Interpreti: Samuel L. Jackson, Kurt Russell, Jennifer Jason Leigh, Walton Goggins, Demian Bichir, Tim Roth, Michael Madsen, Bruce Dern

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The Hateful Eight non è forse il migliore dei film di Quentin Tarantino, ma è sicuramente uno dei suoi più inaspettati e sorprendenti. E credo che lo sia per due validi motivi.

Il primo è che mai prima d’oggi il regista nato a Knoxville aveva realizzato una pellicola “da camera”, tutta girata in interni (i primi due capitoli nella diligenza, il resto nell’emporio di Minnie), e d’impostazione quasi teatrale: la telecamera si muove sapientemente all’interno di spazi ristretti, sia nelle scene ricche di dialoghi (i primi 4 capitoli), che in quelle in cui esplode l’azione (gli utlimi 2). Molti hanno criticato il film perchè troppo verboso nelle prima parte: è vero, ma i lunghissimi dialoghi, vero e proprio elemento portante della pellicola (come è sempre stato nella cinematografia Tarantiniana) hanno lo scopo di alzare la tensione sulla scena (ognuno degli otto personaggi ha qualcosa da nascondere: lo sa lo spettatore e lo sanno i personaggi sulla scena, e il modo in cui è gestita la suspence, che cresce man mano che il film va avanti, è da applausi) oltre che di preparare alla terribile carneficina della seconda parte. Utilizzando alcuni dei suoi marchi di fabbrica (la de-strutturazione della sceneggiatura tramite l’uso di flashback e balzi temporali) Tarantino mette in scena un bagno di sangue come non se ne erano mai visti prima nella sua filmografia: qui infatti la violenza è efferrata, pura, non spaccona e barocca come in Kill Bill, Bastardi senza gloria o Django. Ed è questa l’altra grande novità della sua ultima opera: The Hateful Eight è un film intriso di un nichilismo e di un pessimismo nuovi; non vi sono personaggi positivi, ma solo criminali, banditi, guerrafondai razzisiti e carichi d’odio; e la morte, il sangue, la violenza bruta (la scena dell’impiccagione finale è assolutamente agghiacciante), regnano sovrani in un mondo senza speranza di redenzione.

La fotografia, così come la resa dei colori e dei dettagli sono esaltati dall’uso del formato panoramico 70 mm; immensa la performance di tutto il cast (ma, visti i nomi in ballo, c’era da aspettarselo), e non sto a parlare della maestria tecnica che traspare da ogni singola inquadratura. Si prenda solo la primissima sequenza, una carrellata che si allontana lentamente da un cristo di legno e scopre il panorama immenso e gelido del Wyoming, con una diligenza solitaria che si avvicina alla camera, il tutto accompagnato dalla splendida colonna sonora di Ennio Morricone: cinema allo stato puro, con buona pace dei critici e di chi considera sopravvalutato quel fottutissimo genio di Quentin Tarantino.

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