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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi della categoria: Uscite del 2011

Moon e Source code: i piccoli gioielli diretti dal figlio di David Bowie

20 martedì Mag 2014

Posted by MonsieurVerdoux in Gioiellini sottovalutati, Il cinema dei registi, Uscite del 2011

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cyberpunk, david bowie, duncan jones, fantascienza, Jake Gyllenhaal, michelle monaghan, sam rockwell

moon_trailer_2A Duncan Jones sarebbe potuto bastare essere il figlio di David Bowie. E invece il figlio del Duca Bianco ha deciso di mettersi a fare cinema; e, se i risultati sono quelli dei suoi primi due lavori, Moon (2009) e Source Code (2011), bisogna dire che ha fatto bene.

Quelli di Jones sono film tutto sommato a basso budget (specialmente il primo), e sono uno dei rari esempi di “cinema di genere” dei giorni nostri, che affonda le sue radici nella letteratura sci-fi più popolare e nei grandi classici del cinema di fantascienza (2001:Odissea nello spazio su tutti). Moon è un film che ruota intorno al personaggio di Sam Bell (interpretato da un ottimo Sam Rockwel) unico membro di una stazione spaziale che estrae elio dalla superficie lunare da inviare sulla Terra. Il film non è solo un thriller fantascientifico disturbante ed alienante (Bell si ritrova ad avere a che fare con un altro sé stesso, un suo clone saltato fuori dal nulla), ma anche una pellicola sull’alienazione dell’individuo: chi siamo realmente? Qual è il nostro posto nel mondo?)

Source code è un film più adrenalinico e denso d’azione rispetto a Moon: ma anche questa pellicola ha alla base l’idea dell’individuo solo contro un mondo che non lo comprende e lo sfrutta per i suoi fini. Storia di un militare americano cui viene data la possibilità di rivivere gli ultimi attimi di vita di una delle vittime di un attentato terroristico (allo scopo di scoprire l’identità di chi ha piazzato la bomba), Source code è un film che non lascia un attimo di respiro allo spettatore, in cui Jones dimostra di saperci fare anche con l’azione e  con buone dosi di adrenalina.  Con continui sbalzi temporali, il giovane regista gioca con lo spettatore divertendosi a destabilizzarlo (cosa tra l’altro che si era già notata in Moon, in cui nulla è quello che sembra: si pensi alla scena del “doppio risveglio” del protagonista, che si svelerà per quello che è solo nella seconda parte della pellicola).

Non mancano però nei suoi film anche dei momenti delicati e toccanti: in Moon i dialoghi di di Bell con la figlia rimasta sulla Terra, in Source Code la storia d’amore impossibile, al di là del tempo e dello spazio (e quindi della realtà) tra i personaggi di Jake Gyllenhaal e Michelle Monaghan.

Attendiamo Jones al varco, col suo prossimo film che sarà ispirato a War of Warcraft: speriamo non venga risucchiato dal meccanismo delle major e del cinema ad alto budget, sarebbe davvero un peccato perdere un regista promettente come lui.

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A dangerous method

02 sabato Feb 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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david cronenberg, keira knightley, michael fassbender, viggo mortensen, vincent cassell

A dangerous method (Francia, Uk, Germania, Svizzera, Canada – 2011) di David Cronenberg                                                                                     Interpreti: Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Sarah Gadon

a-dangerous-method-posterEra inevitabile che prima o poi David Cronenberg avrebbe affrontato il tema della psicanalisi e delle teorie freudiane: perché se c’è un tema che ricorre, in maniera più o meno evidente, in quasi tutti i film di questo regista, è quello della sessualità.

Così come, secondo le idee di Freud, è il sesso la chiave per comprendere tutti i comportamenti umani, allo stesso modo è alla sfera sessuale che possono essere ricondotte tutte le perversioni del cinema di Cronenberg: sin dai suoi primi lavori (Il demone sotto la pelle, Rabid) passando per i più fantascientifici Videodrome o Existenz (per non parlare di Inseparabili), Cronenberg ha descritto l’uomo come capace di mostrare la sua vera natura solo se liberato dalle inibizioni imposte dalla società e abbandonato ai propri desideri. In questo senso il pensiero del regista è rappresentato dal personaggio di Otto Gross (interpretato ottimamente da Vincent Cassel), psicanalista e grande oppositore delle teorie freudiane, convinto che la causa principale dei disturbi psichici non fosse la sessualità, ma l’adattamento dell’individuo alla società. Del resto, dal film traspare chiaramente che Gross è il personaggio che Cronenberg ama di più, di certo più del bigotto Freud o del complessato Jung (anche qui, ottime interpretazioni di Mortensen e Fassbender).

La storia del rapporto tra i due grandi psicanalisti viene narrata affrontando il tema scabroso della relazione tra Jung e una sua paziente; e il dilemma morale che strazia Jung, combattuto tra la passione per la donna e la sua etica professionale, è anche la domanda che il regista sembra porre allo spettatore: è giusto dare libero sfogo ai propri istinti, o li si deve lasciare rinchiusi nella gabbia della morale?

Sebbene il film soffra di un ritmo forse troppo compassato, la regia di Cronenberg è assolutamente impeccabile , e l’uso sapiente dei colori (il riposante azzurro del mare, l’acceso verde della vegetazione) permette al regista di creare delle immagini che sembrano dei veri e propri dipinti: dimostrazione che anche un cineasta che ha navigato per anni tra l’horror e la fantascienza è capace di realizzare un film intelligente e stilisticamente impeccabile.

Alex de la Iglesia, un ribelle anarchico nel cinema spagnolo

28 mercoledì Nov 2012

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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alex de la iglesia, cinema spagnolo, javier bardem, rosie perez

Alex de la Iglesia non è certo un regista per cui straveda, tutt’altro. Eppure credo che la vena folle e anarcoide che caratterizza le opere di questo regista basco non possa che giovare al sin troppo “convenzionale” cinema europeo contemporaneo. I film di de la Iglesia sono eccessivi, violenti (tanto da essere stati spesso censurati o bloccati dalle case di distribuzione), chiaramente “imperfetti”: si pensi ad esempio a Perdita Durango, storia di sesso e morte che vede protagonisti due criminali (interpretati da Javier Bardem e Rosie Perez) che rapiscono e stuprano due ragazzini, lasciando dietro di se una scia di morte e distruzione da far rabbrividire persino i fratelli Coen o Quentin Tarantino; o al più recente Balada Triste de Trompeta, storia del sanguinoso conflitto tra due clown impazziti per amore di una bella trapezista. Entrambe le pellicole sono caratterizzate da una sceneggiatura debole e poco convincente, e sono così “eccessivi” nelle loro esplosioni di sesso e di violenza da risultare addirittura sgradevoli: ma proprio nella ricerca costante della trasgressione delle regole hanno il loro maggiore punto di forza. Balada triste de trompeta è inoltre un film visivamente molto affascinante (il prologo ambientato durante la guerra civile spagnola  è assolutamente splendido), forse per via dell’atmosfera circense, che dà al film un tono surrealista che non guasta.

De la Iglesia è stato autore anche di alcune commedie nere, che poi sono, a mio parere, i suoi lavori migliori. Crimen Perfecto prende in giro il cinema hitchcockiano raccontando i tentativi di tenere segreto l’omicidio commesso dal direttore di un atelier di moda, omicidio di cui però una delle sue commesse (bruttissima e follemente innamorata di lui) è a conoscenza; La comunidad è invece una storia che si svolge interamente all’interno di un condominio in cui tutti cercano di scoprire, a qualsiasi costo, dove l’inquilino appena deceduto aveva nascosto la sua immensa fortuna. In questi film il regista trova il pretesto per narrare in un caso il “mito dell’immagine” nella società moderna (Crimen Perfecto), nell’altro la giungla sociale che può diventare una piccola comunità (La comunidad); ma le caratteristiche peculiari del cinema del suo cinema restano l’irriverenza, il citazionismo sfrenato (ne La comunidad uno dei personaggi è vestito per tutto il film come Dart Vader), e soprattutto la sua inevitabile imperfezione.

The Artist

17 domenica Giu 2012

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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berenice bejo, jean dujardin, john goodman, michel hazanavicious

The Artist (Francia – 2011) di Michel Hazanavicius                               Interpreti: Jean Dujardin, Berenice Bejo, John Goodman, James Cromwell, Penelope Ann Miller, Missi Pyle

The Artist è stato il maggior successo cinematografico di questa stagione, e non solo perché alla sua base c’è l’idea (a dir poco geniale) di girare un film sul cinema muto sfruttando proprio l’uso delle didascalie e l’assenza dei dialoghi, ma anche perché in anni di grande innovazione tecnologica nel campo della settima arte (l’avvento del 3d e la rivoluzione portata da Avatar di Cameron sono ancora freschissimi) è ancor più importante cercare di capire cause e conseguenze delle grandi rivoluzioni della storia della celluloide.

Alfred Hitchcock afferma nel libro intervista di Francois Truffaut Il cinema secondo Hitchcock che il “durante l’epoca del muto, il cinema aveva raggiunto un livello di perfezione assoluto, il più alto possibile”: l’avvento del sonoro alla fine degli anni ’20 causò quindi una sorta di “reset”  nel mondo della settima arte, un vero e proprio azzeramento;, che ebbe le conseguenze maggiori soprattutto sulla categoria degli attori.

E’ di questo passaggio (difficile per tante star di quegli anni) che parla The Artist, film che trasuda amore per il cinema, molto ben girato e interpretato (i due protagonisti, in particolare, sono bravissimi) e con qualche ottima trovata: la sequenza dell’incubo, in cui tutti i suoni cominciano a prendere forma attorno a George Valentin (dal bicchiere sbattuto sul tavolo al cane che abbaia) è un piccolo gioiellino, un vero e proprio “film nel film”.  La pellicola, che ha forse l’unico piccolo neo di essere a tratti un pò troppo sdolcinata, è sorretta da un gran ritmo, e gioca di continuo con lo spettatore: e non è un caso che il film del regista francese Hazanavicius cominci con una scena in cui, sotto tortura, degli aguzzini cercano di costringere Valentin a confessare chissà quale segreto urlandogli “Parla, PARLA!”, e si concluda, nel momento stesso in cui a tutti gli attori è stato finalmente dato il dono della parola, con la voce di un tecnico di sala fuori campo che impone un perentorio “Silenzio!”.

Le idi di marzo

28 mercoledì Dic 2011

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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cinema, george clooney, paul giamatti, philip seymour hoffman

Le idi di marzo (USA – 2011) di George Clooney                                   Interpreti: Ryan Gosling, Marisa Tomei, George Clooney, Philip Seymour Hoffman, Evan Rachel Wood, Paul Giamatti

Quarto film da regista per George Clooney, Le idi di marzo è un’ulteriore riconferma dell’intelligenza e dell’abilità, anche dietro la macchina da presa, dell’attore premio oscar nel 2006 per Syriana. Anche in questo caso, come nel gioiellino che diresse qualche anno fa, Good night, and good luck,  Clooney affonta un tema che gli sta molto a cuore: la politica e le sue dinamiche, spesso contorte, spregiudicate. E dire che ce l’aveva quasi fatta bere col suo personaggio di democratico integerrimo, legato alla famiglia a e ai valori tradizionali ma anche convinto progressita anti-aborto e contro la guerra. E sì, perché sino a un terzo del film Clooney tratteggia un Mike Morris talmente perfetto che lo spettatore quasi storce il naso di fronte a tanta positività: non può essere vero, Clooney non può essere così ingenuo da utilizzare una pellicola cinematografica come palcoscenico per sviscerare i valori in cui crede fermamente (lui, che è davvero un democratico liberale convinto). E invece proprio in quel momento, proprio dopo la più rassicurante delle sequenze familiari (quella in cui Morris e la moglie sono in macchina), cominciano a scoprirsi gli scheletri nell’armadio di un personaggio non più così pulito e convincente.  Le idi di marzo è un film che descrive quanto cinica, “sporca” sia la politica, ma lo fa attraverso non tanto la figura di Morris, quanto quelle degli uomini che gli girano intorno, e che gestiscono la sua campagna elettorale: i loro accordi sottobanco, i tradimenti, l’arrivismo, sono le fondamenta su cui si basa il “sogno americano” che potrà portare un democratico alla Casa Bianca. Ryan Gosling, il protagonista, accentua un po’ troppo i toni melodrammatici, ma nel complesso la sua prova è buona (considerata la poca esperienza), supportata da un cast di comprimari perfetto: lo stesso Clooney, Marisa Tomei, i sempre grandi Philip Seymour Hoffman e Paul Giamatti. Al di là di quale battuta a vuoto nella sceneggiatura (si calca un po’ troppo la mano sulla morte del personaggio della Rachel Wood, e forse il finale può apparire un pò prevedibile), il film è davvero ben scritto, con una fotografia e una colonna sonora all’altezza: Le idi di marzo è un pellicola corale con cui è possibile chiudere positivamente un 2011 che non è stato ricchissimo di grandi pellicole, e che forse, proprio per questo, potrà far sperare a Clooney di concorrere alla prossima cerimonia degli oscar come miglior regista.

Cave of Forgotten Dreams

11 domenica Dic 2011

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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cinema, documentari, werner herzog

Cave of forgotten dreams (Francia, Canada, USA, Regno Unito, Germania – 2010) di Werner Herzog

Il cinema di Werner Herzog è sempre stato contraddistinto dal tema della ricerca, fosse quella della collocazione dell’uomo in un universo ostile (L’enigma di Kapsar Hauser,  Anche i nani hanno cominciato da piccoli), o della realizzazione di sogni impossibili (Fitzcarraldo, Aguirre), o ancora quella, più atavica e ancestrale, del ritorno ad una simbiosi totale con la natura (Grizzly Man). In questo senso, Cave of forgotten dreams può essere considerato come un punto d’arrivo nella cinematografia del maestro bavarese: perché forse Herzog  trova finalmente le risposte a quelle domande che qualsiasi artista si pone dall’alba dei tempi: da dove nasce l’esigenza dell’uomo di riprodurre ciò che vede, di ricreare la realtà? E in che modo tutto ciò si colloca nell’ambito della rappresentazione cinematografica?  A Herzog e alla sua troupe è stato concesso il raro privilegio di entrare con le proprie cineprese all’interno di Grotta Chauvet, allo scopo di riprendere quei  disegni straordinari che sono forse il primo esempio di proto-cinema della storia dell’umanità: immagini di animali e creature rimaste intrappolate per trentamila anni, rappresentati nell’atto di correre, muoversi, combattere.  Attraverso la classica impostazione narrativa del documentario, di cui è uno dei massimi maestri, Herzog ci ipnotizza (coadiuvato in questo dallo splendido accompagnamento sonoro di Ernst Reijseger) indugiando a lungo con la sua telecamera su magnifiche composizioni, e  invitandoci a riflettere sul senso e sul potere del mezzo cinematografico: quei cavalli che nitriscono, quei rinoceronti in lotta, quei leoni e quelle leonesse pronti a scattare, non sono altro che la realtà così come veniva percepita dagli occhi di un’artista misterioso; quella di “fermare”, di immortalare un attimo o un movimento, è un’esigenza che l’essere umano ha sentito sin da quando ha fatto la sua comparsa sulla Terra: oggi, Herzog e tutti i registi moderni, possono considerarsi i prosecutori di un’opera iniziata trentamila anni fa sui muri di Grotta Chauvet.

Carnage

02 venerdì Dic 2011

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2011

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cinema, roman polanski

Carnage (Francia, Germania, Polonia, Spagna – 2011) di Roman Polanski Interpreti: Jodie Foster, Kate Winslet, John C.Reilly, Christoph Waltz

Non che fossi rimasto completamente deluso dagli ultimi lavori di Roman Polanski, ma sia Oliver Twist che L’uomo nell’ombra mi avevano dato l’idea di film piuttosto “ordinari”, privi del guizzo tipico della grande pellicola.  Carnage invece, pur non restituendoci il Polanski spettacolare e gigantesco de Il pianista, ci riconcilia col talentro di questo grandissimo cineasta, sulla cui produzione artistica hanno pesato (e non poco) immani tragedie (l’olocausto, la fuga dal ghetto di Cracovia, l’assassinio della moglie Sharon Tate, allora incinta) ma anche grossi scandali (il presunto stupro di una minorenne). Pochi si sarebbero comunque aspettati da Polanski, a questo punto della carriera, un film così sfacciatamente teatrale (e ispirato proprio ad una piecè, Il dio del massacro  di Yasmine Reza): Carnage è infatti tutto girato all’interno di un’abitazione, microcosmo che si fa metafora di una società che cerca di nascondere le proprie contraddizioni. Come fanno del resto i quattro protagonisti (due coppie di genitori che cercano di appianare una lite scaturita fra i loro figli) cui basta poco per gettare via le maschere che si sono costruiti, e per mostrare, in un crescendo di tensione e rabbia che dura per tutto il film, il loro vero volto; il perbenismo di facciata e l’omologazione sociale vengono presto sostituiti dai sentimenti e dalla passioni umane più selvaggie e nascoste: l’egoismo, l’istinto di conservazione (si veda come, specialmente i personaggi della Winslet e della Foster, prendano incondizionatamente le difese dei rispettivi figli), le frustazioni e le insoddisfazioni di una vita. Il film mantiene un ritmo abbastanza alto, e in alcuni frangenti è anche molto divertente; finisce col perdere un po’ di slancio solo nella parte finale (fosse durato dieci minuti in meno, nessuno avrebbe avuto da ridire).  Tagliente la regia di Polanski, splendidi i quattro interpreti, e il modo in cui rescono a rendere sullo schermo la metamorfosi dei loro personaggi. Carnage è insomma un film “essenziale”, con cui Polanski ci dà dimsotrazione di come, anche con pochi mezzi, ma con tante idee e un grande talento, sia possibile fare del puro cinema.

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