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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi della categoria: Uscite del 2013

Lo Hobbit – La Desolazione di Smaug

25 mercoledì Dic 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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ian mckellen, il signore degli anelli, j.r. tolkien, lo hobbit, luke evans, martin freeman, orlando bloom, peter jackson, tolikien

Lo Hobbit – La desolazione di Smaug (2013 – Usa, Nuova Zelanda, Regno Unito) di Peter Jackson                                                                 Interpreti: Martin Freeman, Ian McKellen, Richard Armitage, Evangeline Lilly, Lee Pace, Orlando Bloom, Luke Evans

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Se avete buona memoria (e, soprattutto, se seguite questo blog da qualche tempo), leggendo questo post su La Desolazione di Smaug vi torneranno in mente le parole che utilizzai commentando il primo episodio della nuova trilogia di Peter Jackson ambientata nella Terra di Mezzo, Un viaggio inaspettato. E non c’è da sorprendersi, visto che il secondo episodio de Lo Hobbit, così come il film che lo precedeva, ha molti pregi ma anche molti difetti, soprattutto se lo si guarda con gli occhi del fan sfegatato de Il Signore degli anelli.

La Desolazione di Smaug è infatti in sé un film godibile, ben girato (Jackson è uno che ci sa fare, e riesce a dare, con ampi movimenti di macchina, lunghe carrellate e un senso del ritmo e dell’azione invidiabili, dignità tecnica  anche a un genere, il fantasy, non proprio famoso per questo aspetto) e con un cattivo, il drago parlante Smaug, davvero riuscito, sia dal punto di vista visivo che da quello della caratterizzazione del personaggio (che, trattandosi di un drago, è quanto dire). Ma le battaglie, per quanto spettacolari, non sono epocali come quelle de Il signore degli anelli (anzi, a volte diventano eccessivamente macchiettistiche, come dimostra la sequenza de i nani nelle botti trascinati dalla corrente di un fiume), Richard Armitage non è Viggo Mortensen (per quanto cerchi di ricalcare molto il personaggio di Aragorn), e qualche attore sembra un po’ fuori luogo (Evangeline Lilly ad esempio, nel ruolo di un’elfa che molto improbabilmente si innamora di un nano, ma anche Orlando Bloom, palesemente ringiovanito grazie alla computer-graphic).

In sintesi, La Desolazione di Smaug resta un film visivamente impressionante e con qualche buona trovata (tutta l’ultima parte ambientata nella montagna, ma anche il finale “spezzato”) ma niente in confronto a quei capolavori che sono i film che compongono stata la trilogia de Il Signore Degli anelli.

The Conjuring: l’horror “furbo” di James Wan

25 venerdì Ott 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Il cinema dei registi, Uscite del 2013

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horror, james wan

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Il primo aggettivo che mi viene in mente per descrivere James Wan è: furbo. E lo dico perchè questo regista malese naturalizzato australiano ha dimostrato, negli anni, di saper intercettare (e soddisfare) alla grande i gusti e le esigenze degli amanti dell’horror. I film di Wan, sia chiaro, non dicono nulla di nuovo rispetto al modello classico dell’horror paranormale: casa infestata, presenze demoniache, bambini inquietanti, insomma cose viste e riviste centinaia di volte in centinaia di film. La differenza sostanziale sta nella messa in scena, che è molto più elegante della norma: Wan è uno che sa come usare la macchina da presa e, come dicevo, come spaventare lo spettatore.

In questi aspetti Insidious (2010) e The Conjuring, uscito quest’anno, si assomigliano molto (anche per la presenza, in entrambi i film, di un altro elemento caratteristico del cinema di Wan, quello dei “detective del paranormale”) e provocano più di un balzo dalla sedia allo spettatore (sempre perchè, come dicevo, Wan è uno “furbo”: la paura viene “somministrata” attraverso espedienti che più classici non si potrebbe, come effetti sonori improvvisi, le apparizioni dal nulla, giochi del tipo vedo/non vedo). Mentre Insidious però tende a perdersi un pò in una dimensione onirico-fantasy non troppo convincente, The Conjuring è arricchito da un finale al cardioplama molto ben strutturato (con tanto di esorcismo finale) e da una messa in scena dallo stile retrò (il film è ambientato negli anni ’60 ed è ispirato a fatti realmente accaduti) tremendamente gustosa e ben fatta, e che lo mette un gradino sopra alla media degli horror americani contemporanei.

The conjuring meglio di Insidious quindi, anche se l’opera migliore di Wan resta senza dubbio il suo esordio dietro la macchina da presa. Saw-L’enigmista resta uno dei thriller migliori realizzati in USA negli ultimi anni: la vicenda del serial killer che costruisce trappole infernali per ammazzare le prorpie vittime (tutte colpevoli di non apprezzare la vita sino in fondo) è arricchita da un meccanismo a incastro geniale (alzi la mano chi non è rimasto folgorato dal finale), e da una componente splatter meno esagerata di quanto si possa pensare (a parte i primi omicidi e l’amputazione finale, il film non eccede in inutili e  gratuiti effettacci da grand guignol). Peccato per i capitoli successivi della saga (di cui Wan è stato solo produttore) che, ad eccezione del secondo, sono davvero orribili.

Gravity

22 martedì Ott 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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alfonso cuaron, fantascienza, george clooney, sandra bullock, sci-fi

Gravity (USA, Regno Unito – 2013) di Alfonso Cuaròn                       Interpreti: George Clooney, Sandra Bullock

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Confesso che questo Gravity mi vedeva un po’ prevenuto. Forse perché il cast non mi convinceva; forse perché uno come Cuaron non ce lo vedevo a dirigere un film sci-fi ; o forse perché io, con i film in 3d, non è che abbia mai avuto un bel rapporto.

E invece mi sono dovuto ricredere:  Gravity è un grande film. E lo è, sostanzialmente, per due motivi. Intanto  perché Cuaron è abilissimo a ricreare il senso d’angoscia e di terrore dell’ignoto che attanaglia i suoi personaggi, e a trasmetterlo allo spettatore: alzi la mano chi in sala non è stato in ansia ogni volta che il personaggio della Bullock, dopo essere stato sballottato nello spazio, arrancava cercando di aggrapparsi ad uno degli spuntoni della base spaziale; o non si è sorpreso a pensare: “o no! ancora?” all’ennesimo ritorno dei meteoriti impazziti; o non si è sentito rinascere durante il catartico finale. In questo gli danno una grossa mano le musiche di Steven Price ma soprattutto la fotografia splendida di Emmanuel Lubezki;  i movimenti di macchina e gli avvolgenti piani sequenza (per quanto supportati dall’uso della computer grafica) sono perfetti, e dimostrano che Cuaron ha pensato e studiato questo film nei minimi particolari.

E qui veniamo all’altro grande merito del film: il 3d. Utilizzato davvero per la prima volta con cognizione di causa, in Gravity il 3d è funzionale alla storia, e non scade mai nell’eccesso: certo, alcuni espedienti sono volutamente “ad effetto” (gli oggetti che fluttuano nel vuoto, i meteoriti e le schegge che sembrano colpire lo spettatore), ma in fondo fa parte del gioco, e non si può negare che il senso di profondità dato da questa tecnica alla pellicola si sposi perfettamente con l’ambientazione e il contesto del film (lo spazio profondo e l’assenza di gravità), esaltando ancora di più i movimenti di macchina del regista.

Pazienza se la storia presenta alcuni elementi inverosimili (la Bullock che si sfila la tuta spaziale ed è senza pannolone, il personaggio di Clooney che fa lo spaccone anche nelle situazioni più drammatiche) e alcuni scivoloni melodrammatici (la scena del “sogno”). Non credo si debba incorrere nell’errore di giudicare questa pellicola solo per aspetti negativi, o perché Cuaron è riuscito solo in parte a realizzare un’opera che fosse anche una riflessione sulla solitudine dell’individuo: Gravity resta un film bellissimo, sia dal punto di vista visivo che da quello puramente tecnico,  in cui finalmente il 3d si rivela valore aggiunto, e che riesce a suscitare nello spettatore emozioni e paure profonde. E non è questo forse ciò che deve fare il cinema?

Pacific Rim

20 sabato Lug 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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guillermo del toro, ron perlman

Pacific Rim (USA – 2013) di Guillermo Del Toro                                             Interpreti:  Charlie Hunnam, Idris Elba, Rinko Kikuchi, Charlie Day, Ron Perlman, Max Martini

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Si è detto (e si sta dicendo) molto su Pacific Rim: e come sempre in  casi di pellicole di questa portata, c’è che chi parla di “film del secolo”, gridando al capolavoro, e chi invece di classico blockbuster per famiglie, o di classica “americanata”. A costo di sembrare democristiano, devo dire che entrambi i partiti hanno ragione: ma mettiamo un po’ di ordine, in modo da cercare di chiarire la questione.

Cominciamo col dire che, nel campo del cinema fantastico, Guillermo Del Toro ha pochi rivali (forse, il solo Peter Jackson): quando si tratta di mettere in scena storie di mostri, scene spettacolari, sequenze di lotta dal grandioso impatto visivo, il regista messicano naturalizzato americano, è davvero il numero uno; riuscire poi a girare i combattimenti tra mostri e robottoni giganti in maniera così organica e poco confusionaria, riuscendo a “lanciare” lo spettatore dentro la sequenza al punto da farla quasi sembrare reale (è vero che è queste scene sono quasi tutte fatte al computer, ma decidere il punto di vista migliore per lo spettatore e quindi dove “piazzare” la macchina da presa virtuale, è una cosa assolutamente non facile), dimostra la grandezza assoluta del regista de Il labirinto del fauno.

Ma proprio quest’altra bellissima pellicola di Del Toro può essere lo spunto per parlare dei punti deboli di Pacific Rim (che, purtroppo, sono parecchi). L’intento “didattico”, quasi formativo, e l’impostazione matura che aveva Il labirinto del fauno, sono in Pacific Rim completamente assenti: e anzi la pellicola è piena zeppa di personaggi macchiettistici (i due scienziati che si bisticciano per tutto il film, il boss interpretato da Ron Perlman) o tremendamente stereotipati (il soldato decaduto che torna per salvare il mondo, il generale che si sacrifica per tutti dopo il classico discorso patriottico-motivazionale), e di sequenze e dinamiche narrative già viste migliaia di volte e a dir poco infantili (l’allenamento dei cadetti, i litigi tra i giovani piloti, l’innamoramento con la bella di turno). Neanche gli attori fanno un grande lavoro (Rinko Kikuchi poi l’ho trovata imbarazzante). E dire che Del Toro non ha nemmeno la scusa di essere stato costretto dalla produzione ad utilizzare una sceneggiatura o degli interpreti così ridicoli, visto che ormai ad Hollywood ha un potere come pochi: la verità è che probabilmente ha preferito concentrarsi solo sull’aspetto spettacolare della pellicola (facendo, lo ammetto, un lavoro straordinario), ma trascurando tutto il resto.

In sintesi quindi, ecco il mio pensiero: Del Toro ha avuto l’occasione di fare quello che avrebbe potuto essere il film del secolo, ma l’ha persa. Probabilmente però ci ritroveremo comunque, nel corso dei prossimi anni, a ringraziarlo: perché grazie a Pacific Rim è stata alzata l’asticella del cinema fantastio (nulla sarà più come prima, su questo non ci piove) e perchè, probabilmente i tanti bambini che andranno al cinema a vederlo finiranno per innamorarsi di quella cosa magica e spettacolare chiamata cinema.

Man of steel

07 domenica Lug 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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christopher nolan, diana lane, henry cavill, kevin spacey, laurence fishburne, michael shannon, russel crowe, zack snyder

Man of steel (USA – 2013) di Zack Snyder                                                  Interpreti: Henry Cavill, Amy Adams, Michael Shannon, Kevin Costner, Diana Lane, Russel Crowe, Laurence FIshburne

superman

Ho sentito pareri molto contrastanti su quest’ultima versione in celluloide delle avventure di Kal-El (per gli amici, Superman): chi, purista della prima ora, l’ha criticato per come stravolge l’impostazione del fumetto originale; chi lo ha giudicato troppo fracassone; chi invece lo ha amato proprio per questo, o per i toni dark dati alla storia dal regista Zack Snyder (autore dell’ottima versione filmica di un altro fumetto d’eccezione, Watchmen) e dal produttore Chistopher Nolan, ideatore della splendida trilogia del Cavaliere Oscuro.

Io credo che Man of  steel sia, nel complesso, un bel film: la storia di Superman viene “svecchiata” aggiornandola ai nostri tempi, e anche la scelta di impostare la pellicola più su temi fantascientifici/fantasy  non solo è,a l contrario di quanto dicono molti, in linea col personaggio originale così come era stato pensato dai suoi creatori della DC Comics (è bene ricordare infatti che Superman è un alieno, non un supereroe) ma soprattutto danno al film un respiro più ampio: dall’incipit su Krypton, alle sequenze girate nelle astronavi in stile Alien. Non mancano, certo, i punti deboli: su tutti l’interprete principale, Henry Cavill (mentre invece è molto riuscito il villain interpretato da Michael Shannon), e alcune sequenze talmente surreali da sfiorare il ridicolo persino in un film di supereroi (Lois Lane che se ne va girando tranquillamente per i ghiacciai del Polo Nord, per dirne una). Un film altamente spettacolare, certo lontano anni luce dai vertici di bellezza raggiunti dai recenti film di Nolan su Batman, ma comunque di poco superiore ai ben più fracassoni e “buonisti” film sui personaggi della Marvel che impazzano da qualche anno (i vari Ion Man, SpiderMan e via dicendo).

Infine, va detto che questo film finalmente svela le reali origini di Superman: con due padri come Il Gladiatore (Russel Crowe) e Robin Hood (Kevin Costner) e con un capo direttore come Morpheus (Laurence Fishburne), poteva mai Kal-El / Clark Kent non divenire “l’uomo d’acciaio”?

Il cinema e le follie di Don Coscarelli

26 mercoledì Giu 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Il cinema dei registi, Uscite del 2013

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bruce campbell, cyberpunk, don coscarelli, fantascienza, horror, paul giamatti

john-dies-at-the-end-banner2L’anarchia totale e la follia scanzonata dei film di Don Coscarelli sono qualcosa di abbastanza raro nel cinema contemporaneo. Lo dimostra la sua ultima fatica, passata quasi inosservata (nonostante lo zampino, sia come interprete che come produttore, di Paul Giamatti) John Dies at the end, pellicola comico-fantascientifica che racconta le avventure di due ragazzi che, grazie ad una nuova e potentissima droga, hanno ottenuto il potere di viaggiare tra mondi paralleli e di combattere mostri e alieni di ogni genere. Il film, girato con pochissimi soldi, non si prende mai sul serio, e non pretende di dire nulla di particolare: ma il ritmo frenetico, allucinante (o allucinato?) della messa in scena di Coscarelli e delle interpretazioni degli attori, lo rendono molto più di un semplice film di serie b.

Che la carriera di questo regista libico naturalizzato americano sia stata eterogenea e, soprattutto, altalenante, lo dimostra il suo film cult per eccellenza, quel Phantasm del 1979 che, rivisto oggi, mostra tutti i suoi limiti, ma che nell’innocenza e spensieratezza, a volte ingenua,  di alcune scelte (l’idea della palla volante che uccide, o dei cadaveri resuscitati come nani al solo scopo di divenire gli schiavi di un gruppo di alieni) trovò un quasi inspiegabile motivo di successo.

Insomma, in definitiva, io non sono un fan di Coscarelli, tutt’altro (proprio Phantasm, ad esempio, lo trovo un film super datato e abbastanza noioso), ma non posso neanche fare a meno di apprezzarne il lato anarchico e strafottente. In questo senso, la sua opera migliore resta forse Booba Ho-Tep, film su un Elvis Presley (o un suo sosia, non è dato saperlo) invecchiato e col volto del mitico Bruce Campbell, alle prese con una mummia che sta infestando l’ospizio in cui è ricoverato. Un film ironico, che sbeffeggia il cinema di genere, e che, come quasi tutto il cinema di Coscarelli, non si prende mai troppo sul serio.

La grande bellezza

16 domenica Giu 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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carlo buccirosso, carlo verdone, cinema italiano, paolo sorrentino, sabrina ferilli, toni servillo

La grande bellezza (Italia – 2013) di Paolo Sorrentino                                 Interpreti: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Iaia Forti, Pamela Villoresiuna-scena-de-la-grande-bellezza

L’idea che mi sono fatto è che La grande bellezza sia, sostanzialmente, un film imperfetto. Ma un film imperfetto intriso comunque di una poesia e un lirismo difficili da ritrovare altrove. Una pellicola sulla memoria, sul rimpianto (dell’infanzia spensierata nelle acque di Capri, del nobile passato di una contessa decaduta, del paese d’origine e della famiglia che ci si è lasciati alle spalle), che a differenza di molti, non ho trovato affatto lenta: lo stile compassato di Sorrentino infatti riesce ad essere comunque coinvolgente, grazie ad una serie mi movimenti di macchina e di dolly che forse sfiorano il manierismo e l’autocompiacimento, ma che sono comunque la dimostrazione di un talento sconfinato.

Toni Servillo è come sempre grandioso, e come lui tutto il cast che gli ruota intorno, da Carlo Buccirosso ad un insospettabile Carlo Verdone, malinconico e toccante. Impietoso nella descrizione della mondanità e del falso intellettualismo dei salotti della Roma bene, Sorrentino cerca di descrivere il percorso di Jep Gambardella, scrittore che vive di rendita grazie all’unico romanzo pubblicato, e alla ricerca della “grande bellezza” : che sia quella degli splendidi monumenti di Roma (ripresa con toni quasi documentaristici, ma per questo funzionali alla storia), o quella rappresentata da due innamorati che si baciano per ore, o ancora quella sprigionata dalla sovrumana forza di volontà (e di spirito) di una piccola suora.

Ma allo stesso tempo Sorrentino sembra anche porci una domanda: esiste davvero poi questa “grande bellezza”? O è solo un sogno, un ricordo del passato avvolto nel mistero, un mare immaginario sul soffitto di un appartamento di fronte al Colosseo, una giraffa pronta a sparire con un trucco di magia?

Le streghe di Salem: il cinema eternamente incompiuto di Rob Zombie

12 mercoledì Giu 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Il cinema dei registi, Uscite del 2013

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halloween, horror, rob zombie, sheri moon zombie, slasher

lordofsalem-620x300Un po’ me l’aspettavo, però devo dire che, in fondo, ne Le streghe di Salem ci speravo. Perché la trama sembrava intrigante, ma soprattutto perché pensavo potesse essere questo il film della definitiva consacrazione di Rob Zombie. Del resto devo ammetterlo, Rob Zombie provoca in me una rabbia incredibile. Dal suo cinema, dalle sue opere, credo di poter dire senza ombra di dubbio di aver visto del talento, e forse addirittura gli sprazzi del Genio: eppure l’ex-leader dei White Zombie non è mai riuscito, davvero, a  sfruttarli.

La casa dai mille corpi e Halloween:the beginning sono, al riguardo, emblematici: entrambi iniziano benissimo (il primo con la minisequenza nel bar in cui fa la sua prima apparizione il Capitano Spaulding, il secondo con una rielaborazione intelligentissima delle origini di un personaggio ormai trito e ritrito nel cinema horror, Michel Myers), presentano alcune sequenze notevoli sia dal punto di vista dell’esecuzione tecnica che da quello dell’impatto visivo (in particolare ne La casa dai mille corpi è da segnalare la sequenza della sparatoria con i poliziotti, sulle note di I remember you di Slim Whitman), eppure finiscono entrambi col perdersi irrimediabilmente in una sequela di ammazzamenti più o meno gore.

Meglio da questo punto di vista sono i due seguiti di questi film: La casa del diavolo più che un horror è un thriller iperviolento, quasi tutto girato con la macchina a mano, la cui atmosfera perenne di violenza e follia che si respira in tutto il film (merito di personaggi azzecatissimi, come i membri della famiglia Firefly, ma anche del sadico poliziotto che dà loro la caccia, interpretato dall’ottimo William Forshyte) dà il valore aggiunto; mentre Halloween 2, oltre all’ ottimo inizio (un must per Rob Zombie) ci regala un punto di vista diverso sul solito film col serial killer che uccide adolescenti, dando anzi quasi una nota di poesia malinconica alla vicenda (bellissimo il finale).

Due buoni film quindi, e due film riusciti a metà, ma nessun vero grande lavoro per Rob Zombie: ed era per questo che riponevo tante speranze ne Le streghe di Salem. Che invece si rivela essere una pellicola debole, che mescola temi e citazioni da Rosemary’s baby e da La maschera del diavolo, e che si perde nei tanti, troppi deliri allucinatori della protagonista (interpretata da Sheri Moon Zombie, moglie del regista presente in tutti i suoi film). La trama è scontata (la solita maledizione lanciata dalla strega prima di essere bruciata viva, l’arrivo dell’anticristo, gli abitanti del condominio che in realtà sono in combutta con il Maligno). Ennesima occasione persa (forse l’ultima?) per Zombie per dimostrare davvero di poter essere un grande regista.

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Iron Man 3

16 giovedì Mag 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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avengers, ben kingsley, comics, fumetti, guy pearce, gwyneth paltrow, iron man, jon favreau, marvel, robert downey jr., stan lee, tony stark

Iron Man 3 (USA – 2013) di Shane Black                                                       Interpreti: Robert Downey Jr., Gwyneth Paltrow, Don Cheadle, Guy Pearce, Ben Kingsley, Jon Favreau

iron_man_3_poster-wideIron Man 3 segna l’inizio della seconda fase del “Progetto Marvel”, e si può intuire la virata oscura ed adulta che i film ispirati ai supereroi di Stan Lee avranno nei prossimi anni. Le spacconate e le battute di Tony Stark, interpretato dal sempre brillante Robert Downey Jr., sono infatti ai minimi storici (e, per quanto provi una simpatia immensa sia per il personaggio che per l’attore, devo dire che la cosa non mi è dispiaciuta), e la storia è molto più dark e matura di quanto non fossero i primi due episodi (tant’è che alla regia non c’è più il simpatico sbruffone Jon Favreau, qui presente comunque come interprete nel ruolo della guardia del corpo di Stark, bensì  Shane Black, sceneggiatore di Arma Letale e tra gli interpreti di Predator).

La sceneggiatura di Iron Man 3 non è, ad essere sinceri, niente di che: piena di  spacconate tipicamente americane (su tutte, il supereroe che salva i passeggeri di un aereo che sta precipitando creando una vera e propria catena umana in volo) e di cattivi non all’altezza, non è nemmeno fedele al fumetto cui si ispira (che, tra l’altro, non era nemmeno degno di nota); resta però da apprezzare, come ho detto all’inizio del post, il tono maturo della storia, una violenza non proprio all’acqua di rose, e l’altissimo tasso di spettacolarità  (la sequenza finale ambientata nel porto è un tripudio di azione, effetti speciali e spettacolari esplosioni).

Bello anche il finale, abbastanza definitivo, che lascia intendere allo spettatore che non ci sarà nessun Iron Man 4 e che, per rivedere di nuovo Tony Stark in azione, probabilmente dovremo aspettare The Avengers 2.

Django Unchained

19 sabato Gen 2013

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2013

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christoph waltz, franco nero, jamie foxx, leonardo dicaprio, quentin tarantino, samuel l. jackson, sergio corbucci, spaghetti western

Django Unchianed (USA – 2012) di Quentin Tarantino                                  Interpreti:  Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson, Kerry Washington

Django-Unchained

Dopo i film d’arti marziali, la blaxploitation e le pellicole di guerra, questa volta Quentin Tarantino attinge a piene mani da un altro dei generi cinematografici che lo hanno formato: lo spaghetti western. E lo fa riesumando un vecchio film di Sergio Corbucci, Django, rielaborandone la storia e dando vita a una pellicola maestosa (anche per la durata: 165 minuti) che tratta persino un tema importante come quello dello schiavismo con lo stile esagerato, ironico e beffardo che contraddistingue il regista di Knoxville .

Ma andiamo per ordine. Ciò che è innegabile (anche per chi è un detrattore di Tarantino) sono le sue  straordinarie doti tecniche: ogni ripresa di Django Unchained è studiata nei minimi particolari, dalla composizione dell’immagine, ai punti dove sono piazzati gli oggetti in camera, passando per gli splendidi movimenti di macchina, volti sempre a cercare la ripresa perfetta. Molte delle scene di questo film sembrano dei dipinti, dei veri e propri quadri in cui il regista, tra gli altri, di Pulp Fiction e Kill Bill, dimostra anche di saper integrare immagini paesaggistiche d’ampio respiro; persino l’inserimento di tecniche di ripresa tipiche dei western italiani degli anni ’70 (gli zoom improvvisi sui primi piani degli attori) si integrano perfettamente in questa splendida composizione di immagini e colori.

Quella narrata nel film è una storia abbastanza classica, una storia di vendetta e di morte, ricca di momenti epici (resi tali dall’uso splendido delle musiche, che Tarantino abbina perfettamente alle immagini: si pensi alla scena in cui Django uccide i fratelli Brittle, o al piano sequenza della preparazione di Brunhilda all’incontro con Schultz, su cui scorrono le note di Ancora Qui, canzone scritta appositamente per il film da Ennio Morricone e cantata da Elisa), altri esilaranti (i membri del Klux Klux Klan che si lamentano dei propri cappucci), e di esplosioni di violenza caratterizzate da una messa in scena perfetta e da una quantità spropositata di sangue (che finisce col rendere la scena quasi comica).

Bravissimi tutti gli interpreti: Waltz gigantesco, Foxx tremendamente nella parte, ma sono i diabolici personaggi di Leonardo DiCaprio e Samuel L. Jackson a farla da padroni. Non si contano i cammei: Franco Nero (il Django originale del film di Corbucci), Don Johnson, lo stesso Tarantino (che si riserva una morte non indifferente), per non parlare delle centinaia di citazioni e autocitazioni.

Un film epico insomma, ma pur sempre un film: Tarantino non dimentica che il cinema rimane un divertimento, come dimostra Django alla fine del film, esibendosi in un paio di numeri da circo col suo cavallo: una scena completamente al di fuori del contesto della storia, quasi incomprensibile, ma che va letta proprio in questo senso, e cioè nella volontà di ricondurre il cinema alla sua dimensione più puramente ludica. Perché, sembra volerci dire Tarantino, per fare un film, un grande film, come Django Unchained, prima di tutto bisogna divertirsi.

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