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Il piacere degli occhi

~ La vita non è una tragedia in primo piano, ma una commedia in campo lungo

Il piacere degli occhi

Archivi della categoria: Uscite del 2015

Youth – La giovinezza

15 domenica Mag 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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cinema italiano, harvey keitel, michael caine, paolo sorrentino

Youth – La giovinezza (Italia – 2015) di Paolo Sorrentino

Interpreti: Michael Caine, Harvey Keitel, Rachel Weisz, Paul Dano, Jane Fonda

youth

Quelli di Paolo Sorrentino non sono dei film “facili”, e per questo in molti non li amano. Come detto più volte, sono invece un grande estimatore dei lavori del regista campano: sia di quelli più riusciti (Le conseguenze dell’amore e Il Divo, due autentici capolavori) sia di quelli più deboli (This Must be the place o L’amico di famiglia).

Youth si colloca a metà strada in questa mia personale classifica delle pellicole di Sorrentino: valgono molti dei ragionamenti che avevo fatto a suo tempo per La grande bellezza, cui è molto affine, sia per la messa in scena che per i contenuti. Si tratta di un film dal ritmo compassato, dallo stile apparentemente lento, quasi “inesorabile”: proprio come il tempo che scorre per i due protagonisti della pellicola, interpretati da Michael Caine ed Harvey Keitel. Come ne La grande bellezza, Sorrentino cerca di descrivere il rapporto dell’uomo con il “suo” (inteso come proprio, personale) tempo, e di come esso possa essere assaporato e vissuto solo non avendo paura di abbandonarsi alle emozioni, ai sentimenti; in caso contrario, alla fine della nostra esistenza non rimarranno che rimpianti ed occasioni perdute. In questo senso può essere salvifica l’arte: in fondo, cos’è che tiene vivi i due protagonisti del film, se non, in un caso, il cinema (da non confondere con la vita: in una delle più belle battute della pellicola la vecchia attrice in declino intepretata da Jane Fonda dice al regista Harvey Keitel, in procinto di girare il suo utlimo film: “e finiscila con questa stronzata del cinema!”) e nell’altro la musica, come ci ricorda il malinconico ma bellissimo e lirico finale?

 E’ vero che forse il film per lunghi tratti cade nell’autocompiacimento; ma é anche vero che per il resto Youth è pura bellezza: Sorrentino é capace di “dipingere” su pellicola dei veri e propri quadri, sfruttando movimenti di macchina avvolgenti e lunghi piani sequenza (la scena dell’ingresso in piscina di Madre Natura è da applausi), e in questo resta uno dei migliori registi al mondo. Con buona pace di critici e (soprattutto) invidiosi.

Neill Blomkamp e il cinema di genere sci-fi

28 domenica Feb 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Il cinema dei registi, Uscite del 2015

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cinema, cinema fantascienza, cyberpunk, fantascienza, hugh jackman, jodie foster, matt damon, neil blomkamp, sci-fi

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Il sudafricano Neill Blomkamp è oggi uno dei pochi, veri registi di genere nel campo della fantascienza (forse l’unico, insieme all’ottimo Duncan Jones, cui ho dedicato un post qualche tempo fa). Il suo primo lungometraggio è datato 2009: si tratta di District 9, un action fantascientifico prodotto da Peter Jackson e strutturato come un documentario sulla figura di Wikis Van De Merwe, funzionario statale addetto allo sgombero di una baraccopoli  aliena sorta nel bel mezzo di Johannesburg dopo che un’astronave extraterrestre è rimasta bloccata sulla Terra a causa di un’avaria. La vicenda di Van De Merweche è il pretesto per Blomkamp per descrivere una delle piaghe della nostra società: la paura del diverso, la non accettazione di chi non è come noi. Guardando District 9, sembra di assistere ad un servizio giornalistico dei giorni nostri: storie di profughi cacciati dalle proprie case, di criminali che sfruttano in ogni modo l’immigrazione clandestina, di politici che sembrano non interessarsi dei diritti umani (o extraterresti, se preferite). Ecco quindi che la progressiva trasformazione di Wikis Van De Merwe in alieno è il contrappasso ideale per un’umanità xenofoba e razzista. Oltre all’ottima messa in scena (lo stile semi-documentarista con cui è strutturata la sceneggiatura si rivela vincente) Blomkamp mette subito in chiaro anche la sua idea di cinema: tanti riferimenti alla politica e ai temi sociali, certo, ma anche tanta azione, e un alto tasso di spettacolarità e splatter.

Un’idea di cinema che si conferma nella sua opera successiva, Elysium (2013), film che descrive un futuro in cui i ricchi e i membri delle classi più agiate vivono in una stazione orbitante nello spazio, nel benessere e nell’opulenza, lontano dalla povertà e dalla miseria di una Terra sovrappopolata, su cui sono relegati i più deboli. Per quanto il tema di Elysium sia sviscerato bene e la messa in scena dimostri ancora una volta che Blomkamp è un regista con gli attributi (le scene d’azione sono strutturate in maniera perfetta, con un frequente uso del rallenti che a tratti ricorda i “balletti di morte” tipici del cinema di Honk Kong), il film ha un ritmo eccessivamente forsennato, e il risultato dinale è che lo spettatore non riesce nè a seguire la vicenda in maniedra coerente nè a legarsi empaticamente ai personaggi e alle situazioni in cui sono coinvolti (anche perchè nessuna delle interpretazioni, neanche quelle di Jodie Foster e Matt Damon, strappano appluasi).

Il mix perfetto tra tematiche “impegnate”, spettacolarità della messa in scena e approfondimento dei personaggi, Blomkamp lo trova con il suo terzo lungometraggio, Humandroid: storia di un robot senziente di nome Chappie che si ritrova ad essere sfruttato da umani senza scrupoli (criminali che lo usano per compiere una rapina, membri dell’esercito che lo vogliono per motivi militari, e così via). La pellicola alterna sapientemente momenti action ad altri più intimi, in cui il regista riesce nell’impresa, non da poco, di  rendere “umano”, e soprattutto simpatico allo spettatore, un personaggio fatto di metallo e bulloni. Il tutto, come al solito, arricchito da forti critiche sociali, in particolare alla militarizzazione e, più in generale, a una società in cui gli esseri umani riescono solo ad infliggere violenza e morte. Come in District 9 ed Elysium, anche in Humandroid non vi sono personaggi del tutto “buoni” (a parte l’androide, che però umano non è) o del tutto “cattivi”: anzi questa pellicola sembra volerci dire che la bontà la si può ritrovare ovunque (anche nei membri di una gang di criminali) così come l’ambizione e la voglia di successo possono tradire anche le anime più pure (lo scienziato che dà la vita a Chappie). Tutti aspetti che fanno di Humandroid uno dei film migliori del 2015, e di Neill Blomkamp uno dei registi più interessanti di questi ultimi anni.

The green inferno

21 giovedì Gen 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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The Green Inferno (USA – 2013) di Eli Roth

Interpreti: Lorenza Izzo, Ariel Levy, Daryl Sabara, Kirby Bliss Blanton, Sky Ferrera

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Realizzato nel 2013 ma distribuito in Italia solo pochi mesi fa a causa, ovviamente, di problemi con la censura (il battage pubblicitario che ne ha accompagnato l’uscita lo definiva come uno degli horror più sconvolgenti della storia del cinema: a onor del vero, per quanto il film sia abbastanza duro, devo dire di aver visto molto di peggio), The Green Inferno è una dichiarazione d’amore a quella stagione d’oro del cinema di genere italiano rappresentata dai cosiddetti film “cannibali”, argomento su cui ho pubblicato un post pochi giorni fa.

Il film di Roth riprende il titolo del mockumentary girato dai protagonisti di Cannibal Holocaust (massima espressione del genere), ma, più che con il film di Deodato, esso ha delle forti analogie con Cannibal Ferox di Lenzi: anche qui ci sono infatti un gruppo di occidentali “civilizzati” che si recano nella giungla apparentemente armati di buone intenzioni (sono degli attivisti che protestano contro il disboscamento della foresta amazzonica) e che, loro malgrado, finiscono tra le grinfie di una tribù di indigeni con una predilezione per la carne umana.

Anche se non ho apprezzato appieno la scelta di girare il film utilizzando il digitale (capace, è vero, di esaltare i colori dominanti della pellicola, come il verde della vegetazione o il rosso della pelle degli indigeni, ma che allo stesso tempo dona alle sequenze diurne un’aria rarefatta che è poco “cinematografica”), la pellicola è girata molto bene, con un buon senso del ritmo, ed è ricca di scene splatter degne di essere ricordate: su tutte quella in cui all’attivista obeso vengono prima cavati gli occhi (uno per uno), poi mozzata la lingua, quindi asportati gli arti e, infine, tagliata la testa (tutto questo mentre il malcapitato è, ovviamente, ancora vivo). Alcune sequenze sono poi davvero difficili da sostenere (e di questo va dato merito a Roth):  confesso di aver chiuso gli occhi un paio di volte mentre guardavo la scena in cui la protagonista sta per essere sottoposta ad infibulazione.

Ciò che invece non ho apprezzato è stato un sottile sottotesto razzista (probabilmente non voluto, ma che ho comunque percepito nettamente), che è poi la grossa differenza tra The Green Inferno ed i film dell’epoca d’oro del genere: i cannibali di Deodato e di Lenzi erano delle vittime dell’uomo bianco, che sfogavano la loro rabbia e la loro natura dopo aver subito orrori indicibili; gli indigeni di Roth invece non ispirano simpatia, sono piuttosto dei brutali assassini incapaci di provare emozioni; e non basta certo la trovata (scontatissima) del bambino che fa amicizia con la protagonista a convincermi del contrario. Ecco, questo credo sia il grosso punto debole di un film comunque ben fatto, e di cui mi riservo di dare un’opinione definitva quando finalmente se ne potrà vedere la versione senza tagli (alcuni dei quali operati dalla produzione davvero in maniera grossolana).

Il Piccolo Principe

06 mercoledì Gen 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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mark osborne, piccolo principe, racconti, romanzi

Il Piccolo Principe (Francia – 2015) di Mark Osborne

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Ho sempre pensato che Il Piccolo Principe, una delle opere letterarie più amate del ‘900, fosse un racconto difficilmente trasportabile su pellicola; vuoi per la sua breve durata, vuoi per la tipologia di eventi narrati. L’intuizione che hanno avuto le case di produzione coinvolte in questo progetto italo-francese (Onyx Films, Orange Studio e On Entertainment) è stata però vincente: trasporre la fiaba di Antoine de Saint-Exupéry ai giorni nostri ha permesso a Irena Brignull (sceneggiatrice) e Mark Osborne (regista) di realizzare un film moderno e molto più “adulto” di quanto si possa pensare, pur mantenendo intatto lo spirito e la dolcezza dell’opera di partenza.

Ciò che infatti differenzia molto Il Piccolo Principe dagli usuali film di animazione (anche da quelli, ottimi, realizzati dalla Pixar, come il più recente Inside Out) sono una messa in scena ed un immaginario assolutamente “adulti”: si prenda tutta la seconda parte della pellicola, in cui la piccola protagonista visita un mondo distopico ed opprimente che richiama palesemente Brazil di Terry Gilliam, in un vero e proprio incubo in cui non c’è spazio per gag o sorrisi; o la descrizione della società degli adulti, dove a contare sono solo il profitto ed il lavoro, dove tutto è controllato e pianificato (come in ogni società distopica che si rispetti: evidenti i richiami a  1984 di George Orwell e Il mondo nuovo di Aldous Huxley).

Un film quindi profondamente maturo sia nei contenuti che nella messa in scena (felicissima anche la scelta di utilizzare due tecniche d’animazione differenti, la CGI e la stop-motion, quest’ultima per raccontare alcune delle scene del libro di Antoine de Saint-Exupéry) e che ci ricorda come oggi gli adulti sembrino aver dimenticato che ciò che conta veramente, ciò che è “essenziale”, non è tutto ciò che è utile ad ottenere un profitto, un risultato (“be essential” è il motto della scuola dove la piccola protagonista è destinata ad andare a studiare), ma è l’amore che proviamo per l’altro, chiunque esso sia: una rosa, una volpe, un padre mai conosciuto, o un vecchio aviatore che ci ha insegnato a “guardare col cuore”.

Il Ponte delle Spie

04 lunedì Gen 2016

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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alan alda, mark rylance, steven spielberg, tom hanks

Il ponte delle spie (USA – 2015) di Steven Spielberg                     Interpreti: Tom Hanks, Mark Rylance, Amy Ryan, Alan Alda, Austin Stowell,

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Ispirandosi alla cosiddetta “crisi degli U-2” (quando, in piena Guerra Fredda, Francis Gary Powers, pilota di un aereo-spia Lockheed U-2 dell’esercito americano fu abbattuto, catturato e condannato dai sovietici, per poi essere “scambiato” con una spia comunista detenuta negli Stati Uniti), Steven Spielberg ha realizzato un film solido, tutto costruito sui personaggi, sui dialoghi; e va detto che, specialmente negli ultimi anni, sono state proprio queste tipologie di pellicole quelle che gli sono riuscite meglio.

Il ponte delle spie é un film privo d’azione e di momenti spettacolari, perchè la spettacolarità è tutta nella messa in scena. Si prenda ad esempio la sequenza finale, quella dello “scambio”: in 10 minuti di pellicola non viene sparata una pallottola, non viene versata una goccia di sangue: eppure la tensione é palpabile, la suspence é gestita da Spielberg in maniera perfetta senza l’utilizzo di musiche eclatanti o di effetti speciali; gli bastano gli sguardi, i gesti, le attese. Una grandissima lezione di cinema, in poche parole.

Sbaglia poi chi considera il film eccessivamente patriottico: è vero che forse la rappresentazione dei sovietici è un pò macchiettistica, ma sono proprio gli Americani ad uscire peggio da Il ponte delle spie: quegli americani che prima vogliono mostrare al mondo l’equità del proprio sistema giudiziario, ma che poi si rivelano pronti a condannare (e, addirittura, minacciare) chi difende gli ideali della propria costituzione, se ciò comporta aiutare un “rosso”, un nemico. In questo senso il film di Sbielberg è lucido, freddo, e anche fortemente critico verso la troppe volte bigotta società americana.

Finalmente anche Tom Hanks torna ai fasti di un tempo, regalandoci un’interpretazione magnifica; ma non dimentichiamoci di Mark Rylance, che con la sua recitazione pacata, quasi minimalista, riesce a strappare ben più di un applauso.

Unica pecca di questo ottimo film sono i minuti finali, con annesso ritorno a casa del protagonista dalla famiglia felice (un marchio di fabbrica del cinema di Spielberg che, ahimè, troppe volte non ha saputo rinunciare alla soluzione dalla lacrimuccia facile): peccato, se la pellicola fosse finita con Tom Hanks da solo sul ponte, a guardare l’auto con la spia russa che sparisce nella notte, ignaro del destino dell’amico e col dubbio di averne sancito la condanna a morte, forse si sarebbe potuto gridare al capolavoro.

Star Wars: Il Risveglio della Forza

24 giovedì Dic 2015

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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adam driver, carrie fisher, cinema, cinema fantascienza, daisy ridley, fantascienza, fantasy, george lucas, harrison ford, j.j.abrams, john boyega, lawrence kasdan, mark hamill, oscar isaac, sci-fi, star wars

Star Wars: Il Risveglio della Forza (USA – 2015) di J.J.Abrams         Interpreti: Adam Driver, Daisy Ridley, John Boyega, Oscar Isaac, Harrison Ford, Carrie Fisher, Mark Hamill

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J.J. Abrams, regista de Il Risveglio della Forza, deve essere da sempre un fan sfegatato dell’universo di Star Wars: la caratteristica maggiore di questo primo film della cosiddetta “trilogia sequel” è infatti il suo tono nostalgico e un po’ retrò, ricco di richiami ed ammiccamenti ai primi film di George Lucas, apprezzabilissimi sia dai fan di vecchia data che da nuovi adepti della Forza. Questo “effetto nostalgia” che pervade tutta la pellicola non mi è affatto dispiaciuto: perché la passione e l’amore per l’universo di Star Wars sono lampanti e sinceri, come si evince dal modo con cui Abrams tratta le storie e i personaggi creati da George Lucas quasi quarant’anni fa.

In questo senso, ho trovato azzeccata e vincente anche la scelta di far tornare i personaggi della trilogia classica (Carrie Fisher, ma soprattutto Harrison Ford, appaiono un po’ imbolsiti, mentre Mark Hamill sembra essere invecchiato meglio), con il chiaro ruolo di fare da trade union tra la generazione che vide il primo Guerre Stellari al cinema nel’77 e quella che solo oggi sente per la prima volta risuonare nelle sale il mitico tema musicale di John Williams.

Ma quella che è la Forza di questo Episodio VII è anche, purtroppo, la sua debolezza. Il film infatti sembra ripercorrere eccessivamente la trama del primissimo Star Wars (Episodio IV – Una nuova speranza): e così i punti cruciali della sceneggiatura, scritta dallo stesso Abrams e da Lawrence Kasdan (la ricerca di un droide che contiene i piani per distruggere la nuova Morte Nera, il personaggio principale che viene da un pianeta desertico e che è destinato a salvare la Galassia, e così via) sanno di già visto. Il film soffre anche l’assenza di un villain di valore: non me ne si voglia, ma Adam Driver non mi ha convinto affatto nel ruolo di Kylo Ren, per quanto il suo dissidio interiore (“al contrario” rispetto a quanto visto nei film precedenti: egli non è un jedi tentato dall’oscurità, ma un malvagio combattuto ed attratto dal potere della luce) sia trattato in maniera intelligente e non retorica.

Per il resto, al di là dei punti deboli appena elencati, dal punto di vista tecnico il film è puro godimento, sia in termini di effetti speciali (mai troppo “invasivi”, come invece era capitato con alcuni dei film della “trilogia prequel”) che di scene d’azione: Abrams è un regista con gli attributi, e riesce ad imprimere alla pellicola un ritmo forsennato e pressoché perfetto.

In conclusione, mi sento di dire che Il Risveglio della Forza è un buon film, una appassionata dichiarazione d’amore al cinema fantascientifico rivoluzionato da Lucas alla fine degli anni ’70: la speranza è che, con questo primo episodio, ci si sia scrollati di dosso il “peso” della trilogia classica, e che quindi a partire dal prossimo film gli sceneggiatori ed i registi che verranno coinvolti nel progetto possano davvero ripartire da zero, donando nuova linfa e nuova vita alla più grande saga della storia del cinema. Io, quindi, attendo fiducioso l’episodio VIII: nel frattempo, che la Forza sia con voi.

Spectre

17 martedì Nov 2015

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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007, christoph waltz, daniel craig, ian fleming, james bond, monica bellucci, ralph fiennes, sam mendes

Spectre (USA/Regno Unito – 2015) di Sam Mendes                        Interpreti: Daniel Craig, Christoph Waltz, Lea Seydoux, Ben Whishaw, Monica Bellucci, Ralph Fiennes

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Quando si ha a che fare con un franchise con più di 50 anni di vita, è difficile inventarsi qualcosa di nuovo. Il merito degli ultimi “Bond movie” (in particolare quelli con Daniel Craig nei panni di 007) era stato quello di riaggiornare il personaggio, di modernizzarlo. Spectre rappresenta invece in qualche modo un ritorno alle origini di Bond (cosa che tra l’altro già le immagini conclusive di Skyfall, come avevo fatto notare qui, lasciavano presagire): ed è proprio questo il peccato originale del film di Mendes. Non mi si fraintenda: Spectre è forse, tra i più di 20 film di James Bond realizzati fino ad oggi, quello migliore dal punto di vista puramente tecnico (difficile che non fosse così, visto che alla regia c’è una maestro come Sam Mendes, che aveva già fatto un grandissimo lavoro con Skyfall): il piano sequenza iniziale a Città del Messico è da applausi, così come gli inseguimenti automobilistici a Roma o quelli in elicottero in Austria; insomma, si tratta di una pellicola dal ritmo mozzafiato, sorretta da un montaggio adrenalinico e da una messa in scena pressoché perfetta.

Eppure lo spettatore non può non provare, durante la visione del film, un senso di deja vu: in questo film Daniel Craig assomiglia più a Sean Connery o a Roger Moore che al Bond glaciale che avevamo apprezzato in Casino Royale e Skyfall , e se mentre alcuni topos tipici del cinema bondiano (la scena sul treno, il cattivo che ospita Bond nella sua magione prima torturarlo a morte, la sequenza in montagna) vengono riproposti con gustoso senso citazionista per rendere omaggio a una delle icone più longeve della storia del cinema, altri (donne conquistate con lo sguardo, cadute da decine di metri d’altezza direttamente su un comodo divano, smoking sempre impeccabile nonostante sparatorie ed esplosioni) risultano oggi davvero poco credibili. Personalmente non ho apprezzato neanche alcune scelte narrative (il mistero del legame tra Bond e Blofed si risolve abbastanza miseramente), mentre è assolutamente magistrale l’incarnazione del villain offerta dal sempre grandissimo Christoph Waltz.

In sintesi: Spectre è un film tecnicamente eccelso, che ha tutti i pregi e i difetti di un classico film di James Bond. Resta comunque un film bello e da vedere, e una degna conclusione del “ciclo” di Daniel Craig. Dico “conclusione del ciclo” perché il finale della pellicola sembra suggerire un addio del glaciale attore inglese (in assoluto, tra tutti i Bond che si sono visti al cinema, quello che, insieme a Timothy Dalton, più si è avvicinato allo spirito vero del personaggio nato dalla penna di Ian Fleming). Ma si sa, Bond è duro a morire; e, anche se con un altro volto, prima o poi si rifarà vivo.

Crimson Peak

06 venerdì Nov 2015

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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guillermo del toro, jessica chastain, mia wasikowska, tom hiddleston

Crimson Peak (USA – 2015) di Guillermo Del Toro                                        Interpreti: Mia Wasikowska, Jessica Chastain, Tom Hiddleston, Charlie Hunnam, Jim Beaver

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E’ difficile descrivere a parole la bellezza di Crimson Peak: per comprenderlo appieno bisogna vederlo, perdercisi dentro, lasciarsi trasportare dalle immagini, dai colori, dalle atmosfere. Io comunque voglio provarci.

Guillermo Del Toro ha deciso con questo film di rendere omaggio, ma anche di rivisitare a suo modo, il genere del cinema gotico, caduto negli ultimi anni un pò nel dimenticatoio: e lo ha fatto realizzando un’opera cupa e malinconica, una storia di passione, di morte, fatta di sangue e lacrime. Non ci si lasci fuorviare infatti: Crimson Peak non è un horror, ma un dramma umano, una straziante storia d’amore in cui l’elemento mostruoso, sovrannaturale, è quasi “accessorio”. L’opera ultima del regista di Pacific Rim è quindi molto più ancorata al reale di quanto non si possa pensare: lo dimostrano la messa in scena delle sequenze più violente (l’omicidio del padre di Edith, il duello finale tra le due protagoniste), ma soprattutto il fatto che il vero orrore si rivelerà, nel finale del film, provenire dall’uomo, non dal mostro (anzi, i fantasmi di Crimson Peak hanno quasi una funzione “salvifica”).

I costumi, i colori, la fotografia, l’architettura dell’oscura magione degli Sharp (dove è ambientata gran parte della pellicola): tutto sembra incastrarsi in un meccanismo visivamente perfetto, in un armonia di colori in cui domina il rosso dell’argilla che cade dalle pareti, che colora le apparizioni di fantasmi e creature mostruose, che macchia la neve nella tormenta, e che si mescola al sangue grondante dalle ferite e dai corpi lacerati dei protagonisti.

Il senso di armonia trasmesso dalla pellicola viene poi esaltato dallo stile con cui Del Toro ha scelto di girare il film: il regista messicano non lascia mai ferma la macchina da presa, ma anzi segue gli attori, girandogli intorno con movimenti dolci e morbidi, in una serie infinita di carrellate e di dolly, senza mai però peccare di virtuosismo.

Insomma, in poche parole: se non l’abbiate capito, per me Crimson Peak è un film splendido; è cinema allo stato puro.

Sopravvissuto – The Martian

20 martedì Ott 2015

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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cinema fantascienza, fantascienza, jeff daniels, matt damon, ridley scott, sean bean

Sopravvissuto – The Martian (USA – 2015) di Ridley Scott                     Interpreti: Matt Damon, Jessica Chastain, Kristen Wig, Jeff Daniels, Sean Bean

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Su Ridley Scott ho già detto più volte quello che penso: e cioè che, al di là dei capolavori realizzati ad inizio carriera (Alien e Blade Runner), la sua filmografia è a mio parere sempre rimasta assestata su un livello medio.

The Martian, in questo senso, non fa eccezione: si tratta di una buona pellicola, a tratti spettacolare e visivamente molto bella (le scene in cui il personaggio di Matt Damon vaga tra le lande desolate del pianeta rosso sono una delizia per gli occhi), in cui Scott riesce a bilanciare molto bene l’elemento drammatico e quello leggero; a differenza di quello che si potrebbe pensare, The Martian è un film che vive principalmente di dialoghi, e in cui l’azione e la suspence si esauriscono nel bellissimo incipit (una spettacolare tempesta di sabbia su Marte) e nell’epilogo.

Scott ha anche il merito di avere evitato, volutamente, inutili sequenze strappalacrime sul tema dell’ “uomo solo nello spazio e lontano dai propri affetti”, una vera e propria costante di film di questo genere; al contrario, non sarebbe stato male vedere ogni tanto Matt Damon in difficoltà: l’astronauta Mark Watney finirà col vivere per anni da solo su un pianeta inospitale ma, a parte poche eccezioni, non ci viene mai mostrato un suo momento di sconforto o di tristezza.

Sulla poco verosimiglianza scientifica della storia non mi esprimo: ho sempre considerato ridicole considerazioni di questo tipo: in fondo parliamo di cinema, e quindi di finzione, e non di documentari.

The Martian resta quindi un buon film: non resterà negli annali della storia del cinema, né vincerà alcun oscar, ma ne conserverò comunque un piacevole ricordo.

Inside Out

13 martedì Ott 2015

Posted by MonsieurVerdoux in Uscite del 2015

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disney, pixar

Inside Out (USA – 2015) di Pete Docter

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Siamo sinceri: è raro che la Pixar sbagli un film. E’ per questo che, ogni volta che mi appresto a vedere un lavoro della casa di produzione che, nel lontano 1995, sfornava la prima pellicola completamente in computer-grafica (Toy Story), lo faccio sicuro di assistere ad un gran film. E Inside Out non mi ha smentito.

Rappresentare il complesso universo di pensieri, emozioni e dinamiche mentali di un essere umano (in particolare, di una bambina di 11 anni) in maniera convincente, non era affatto facile: con la loro fantasia gli autori della Pixar sono riusciti in questo arduo compito, inventandosi una serie di metafore assolutamente geniali: i sogni come veri e propri set cinematografici, il subconscio come una prigione dove vengono ricacciati i pensieri oscuri, i sentimenti come delle vere e proprie “città a tema” collegate da un “treno dei pensieri”.

Il film è impostato come un vero e proprio road-movie: Felicità e Tristezza, due delle emozioni che hanno “il controllo” della piccola Riley, devono assolutamente riportare al “centro di comando” i ricordi più importanti della bambina, e per farlo dovranno affrontare decine di pericoli e di sfide all’interno dell’universo “mentale” della bambina. La pellicola alterna sapientemente, in puro stile Pixar, momenti esilaranti (le scene che mostrano quanto accade nella testa dei genitori di Riley, o le sequenze dopo i titoli di coda) e altri profondamente toccanti (la “scomparsa” dell’amico immaginario, il momento finale).

Inside Out è insomma un film toccante e bellissimo, che fa ridere, piangere, e che ci insegna anche come il dolore e le esperienze negative a volte contribuiscano a formarci, come donne e uomini, anche più della felicità e della gioia.

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