Jan Svankmajer ha realizzato, tra corti e lungometraggi, centinaia di opere; è stato anche pittore, scultore e poeta. Non è quindi facile scegliere un punto da cui partire per dire qualcosa su di lui (e non a caso ho scritto “dire qualcosa”, perché comprendere davvero l’opera di questo maestro credo sia impossibile, per quanto essa è vasta e complessa).
Esponente del surrealismo ceco, nato a Praga nel 1934, è un mistero che i suoi lavori siano così poco noti in Italia: del resto, basterebbe il corto Darkness by darkness, in cui un pezzo di plastilina subisce una serie di mutazioni fino a trasformarsi in una testa umana (molti dei lavori di Svankamjer sono realizzati con le tecniche della stop-motion e della claymation) a proiettarlo nell’olimpo dei geni e dei grandi maestri della settima arte.
Nelle opere di Svankmajer vi sono oggetti inanimati che prendono vita, esseri viventi che vanno incontro alle più folli trasformazioni (la manipolazione dei corpi e della carne sono tra i temi a lui più cari); e le storie sono spesso incentrate su elementi come il cibo o il sesso.
Svankmajer è probabilmente uno degli ultimi, grandi visionari del nostro tempo, e non è un caso che i suoi lavori migliori siano ispirati ad alcune delle opere più folli ed anarchiche dell’epoca moderna: Il crollo della casa degli Husher (tutto girato in bianco e nero, e con la tecnica della stop motion che permette di disintegrare pareti, scatenare temporali e cose di ogni genere) o Il pozzo e il pendolo (claustrofobico cortometraggio tutto girato in soggettiva e che, visto e rivisto anche centinaia di volte, continua a trasmettere allo spettatore una sensazione di ansia quasi insopportabile), ispirati ad Edgar Allan Poe, ma soprattutto Alice in Wonderland di Lewis Carrol (da cui Svankmajer ha tratto Qualcosa da Alice, il suo primo lungometraggio, tutto ambientato tra le stanze di una vecchia casa, e in cui i personaggi che popolavano l’universo di Carrol si trasformano in creature fatte di cibo o in pupazzi di paglia) e Faust, forse il suo capolavoro, una cupa riflessione sulla crudeltà dell’uomo ma anche sull’inevitabilità del male, che si perpetua inevitabilmente e ciclicamente (come dimostra il finale, che comincia proprio laddove la pellicola era iniziata).
La creatività di Svankmajer è evidente anche nei meccanismi complessi che si vedono nei suoi film (spesso ispirati alle opere della moglie pittrice), come in Spinkleci Slasti, pellicola che è una riflessione profonda su che cosa è l’arte: la creazione (tutti i personaggi che popolano il film sono, a modo, loro degli artisti) come unico motivo di vita e di sopravvivenza in un mondo squallido. Che poi potrebbe essere il manifesto della vita e delle opere di Jan Svankmajer, per il quale vale ciò che disse Anthony Lane, del The New Yorker : “Il mondo si divide in due categorie di diversa ampiezza: quelli che non hanno mai sentito parlare di Jan Svankmajer e quelli che hanno visto i suoi lavori e sanno di essersi trovati faccia a faccia con un genio”.